Dom. Mar 9th, 2025

Gli effetti dell’elezione di Trump alla guida della superpotenza americana avranno inevitabilmente conseguenze anche ai margini dell’impero globale che per 30 anni è stato gestito dalle rive del Potomac.

Seppur in piena e profonda crisi di identità gli USA non possono permettersi di abdicare a quel ruolo imperiale che hanno introiettato nel loro DNA da ormai troppo tempo. Non possono, nonostante il trumpismo appaia tendenzialmente isolazionista, cosa sulla quale è legittimo avere qualche dubbio, che saranno i prossimi mesi a sciogliere.

Di certo c’è che, seppur Trump voglia passare alla storia come un presidente rivoluzionario, lo stato profondo americano (agenzie di intelligence, forze armate, apparato burocratico) pensa e ragiona da sempre come parte di un’organizzazione imperiale, che difficilmente si acconcera’ a chiudersi su se stesso e a rinunciare alla sua proiezione planetaria. Se Trump dovesse proseguire nelle sue intenzioni di ridimensionamento dell’apparato pubblico c’è da credere che difficilmente metterà le mani su quelle strutture che permettono agli USA di rimanere la prima forza militare del pianeta. Anche perché inimicarsi lo stato profondo, per giunta quello con le armi sempre affilate, non è affatto buona cosa.

Fatta questa doverosa premessa, viene da chiedersi dove e come la nuova amministrazione repubblicana capeggiata da un “non ortodosso” come Trump agirà maggiormente. È qui che gli scenari che si aprono diventano molteplici e di difficile interpretazione, se non altro perché Trump è estremamente atipico, non venendo da quella che è definibile come classe politica strictu senso.

Prendiamo il caso dell’Europa e delle conseguenze che otto anni di trumpismo potrebbero generare. 

Innanzi tutto va detto che Trump va ad occupare la Casa Bianca in uno dei peggiori periodi per le vicende europee e per la stessa UE. Stati trainanti come Germania e Francia sono da anni in forte crisi politica ed istituzionale, con serie ripercussioni anche sulle loro economie e con conseguenze dirette per altre economie ad esse legate (vedasi rapporto tra economia tedesca e quella del Nord Italia). Dopo il Brexit ha preso forza l’idea che la UE non sia poi qualcosa di tanto indispensabile per i suoi membri, anzi paiono sempre più attive e vigorose quelle forze politiche piuttosto tiepide se non critiche verso le istituzioni comunitarie. Se a ciò si aggiunge che la nomenclatura UE ben poco fa per far amare l’Europa agli europei (le percentuali delle ultime consultazioni sono eloquenti), ecco che il corpo del pachiderma iperburocratizzato è sempre più molle ed inutile. Ma soprattutto è incapace di trovare l’imbocco di una strada ormai non più rinviabile, senza la quale  rischia di perire di autoconsunzione: una decisa ed autorevole politica estera unitaria, supportata da un vero esercito di rango planetario.

Siccome – cosa non proprio marginale – alla UE mancano proprio queste due caratteristiche che da sempre ne fanno un gigante economico ed un nano politico, è legittimo credere che sull’Europa gli effetti del trumpismo potrebbero essere estremamente impattanti. Se in negativo o in positivo questo è cosa da valutare sulla base delle convinzioni personali, ma di sicuro non ci saranno effetti neutri.

Per prima cosa va registrato un fatto: all’insediamento del tycoon alla Casa Bianca non era presente alcun leader europeo, fatta eccezione per Giorgia Meloni. Non è un caso, bensì il segno evidente che Trump non è amato in Europa e che questo sentimento è ampiamente ricambiato. Al di là di ciò è però notorio che Trump non ami gli europei (in quanto UE) a seguito della loro scarsa propensione a destinare ulteriori risorse al potenziamento della difesa (leggasi NATO), cui fa da contraltare una eccessiva tendenza di molti europei a fare affari con russi e cinesi. Secondo Trump, questa condotta rispecchierebbe la scarsa affidabilità degli europei, definiti più volte scrocconi ed inaffidabili nel corso del suo primo mandato presidenziale. L’approccio non parrebbe affatto cambiato, se è vero che solo qualche giorno fa il magnate avrebbe rincarato la dose con una delle sue uscite, nella quale ha parlato di chiusura della NATO e di contributi alla spesa da parte dei membri con il 5% del loro PIL. Bisognerebbe essere nella testa di Trump per capire quanto c’è del politico e quanto del mercante nelle sue esternazioni, ma è sicuro che egli non ami l’Europa, almeno quanto non digerisca la NATO per come oggi è strutturata.

D’altro canto, è impensabile che gli USA possano abbandonare il bastione europeo proprio nel momento in cui la guerra in Ucraina ha dimostrato che i tre decenni di dominio unipolare sono un lontano ricordo.

Semmai è da comprendere meglio e di più il come si attuera’ una rinnovata presenza americana nel vecchio continente, sia in forma diretta che attraverso la NATO. È su questo aspetto che vale la pena concentrare l’attenzione.

Con l’arrivo di Trump è dunque verosimile ipotizzare uno scenario che per l’Europa possiamo sintetizzare in questi punti:

1) crescente attività diplomatica e politica da parte USA volta ad indebolire la già scarsa credibilità internazionale della UE nel contesto di quelli che sono i principali dossier sul terreno.

2) creazione di canali preferenziali di cooperazione bilaterale o minilaterale con paesi maggiormente favorevoli al Trump pensiero. In tal modo sarà possibile per i singoli contraenti beneficiare delle opportunità che si potrebbero aprire, senza dover passare per gli obblighi d’ufficio dettati dalla Commissione UE.

3) Possibile rafforzamento strategico dell’asse Parigi-Berlino per rinvigorire la resilienza anti USA e rifondare una rinnovata collaborazione con la Russia del dopo guerra. Questa opzione al momento terrebbe fuori l’Italia da quello che diventerebbe un ipotetico triumvirato europeo, vista la tiepida fedeltà europeista del governo Meloni cui fa da contraltare una sua evidente affinità con la nuova amministrazione statunitense.

4) Dal punto precedente emerge anche la possibilità che l’Euroquad difensivo Berlino-Parigi- Madrid- Roma, auspicabile punto di partenza del futuro esercito europeo, possa arenarsi ancor prima di generare qualche frutto tangibile. Infatti è da credere che sarà volontà dell’amministrazione Trump rafforzare le intese bilaterali con quei paesi che intendono appoggiarsi agli USA pur di scongiurare un ripetersi della crisi Ucraina (Romania, Polonia, Finlandia e stati baltici).

Le ipotesi appena illustrate lasciano intravedere una possibile volontà punitiva dell’amministrazione Trump verso la “ingrata” Europa, cui i dazi di questi giorni sono un’assaggio preliminare. Non è poi assolutamente da escludere che nella volontà del tycoon ci sia anche quello di una vera e propria balcanizzazione politico/strategica dell’Europa, in modo da trarre i maggiori benefici possibili per la nuova America che è nel suo disegno, peraltro nemmeno troppo celato.

Sarà da vedere quanta parte dei proclami elettorali di Trump potranno essere realisticamente percorribili e, soprattutto, quanta Europa sarà disponibile a farsi conquistare dal nuovo corso d’oltreoceano.

Fernando Volpi

11.02.2025