In una precedente puntata di “Fantastica Europa” avevo parlato di “Blake & Mortimer”, la celebre serie a fumetti ideata nel 1946 dall’artista brussellese Edgar P. Jacobs (1904 – 1987), uno dei “mostri sacri” della bédé franco-belga e sacerdote della “linea chiara” – un movimento stilistico che ebbe il suo fondatore in Georges Remi, in arte Hergé (1907 – 1983), il padre di Tintin.
“Blake & Mortimer” e “Tintin” sono due universi sotto molte sfaccettature sovrapponibili. Le maggiori differenze, se vogliamo, sono dovute al fatto che “Tintin” era inizialmente pensato per un pubblico un po’ più giovane di quello al quale si rivolgeva fin dal principio “Blake & Mortimer”; e dunque ecco che in “Tintin” c’è molto più umorismo, tanti personaggi e comprimari sono “macchiette” o sono comunque mutuati dalla commedia buffa, le vicende sono talvolta, soprattutto nel primo periodo, meno “intrecciate” di quelle di “Blake & Mortimer”… e nei soggetti di “Tintin”, forse, ai protagonisti vengono fatti correre meno pericoli mortali di quelli immaginati per i loro “colleghi” delle storie di Jacobs. Per il resto: stesso stile grafico (assenza del chiaroscuro convenzionale, semplicità delle inquadrature, simmetria delle vignette nella gabbia della tavola, etc.); stessa cura documentativa per i soggetti delle storie e per i disegni di ambienti naturali e urbani, abiti, suppellettili, apparecchiature, costruzioni, veicoli, armi, etc.; stessa devozione ai codici peculiari del fumetto inteso come linguaggio narrativo e non come “genere”; stesso amore per l’avventura, per il thrilling, per il mistero e per il fantastico.
VICENDE EDITORIALI
Le avventure di Tintin sono esattamente due dozzine e coprono un arco di tempo che va dal 1929 al 1986. Per tradizione fumettistica dei paesi francofoni gli episodi venivano prima pubblicati a puntate su rivista, con pagine di grande formato (con un gabbia della tavola che nei primi anni era a tre e poi a quattro strisce), e solo successivamente, una volta terminati, venivano raccolti in volume cartonato. La prima e l’ultima storia sono quelle che hanno avuto una vita editoriale più controversa e burrascosa.
Tintin au Pays des Soviets (Tintin nel paese dei Sovieti) fu pubblicata a puntate in bianco-e-nero sul supplemento giovanile “Le Petit Vingtième” del giornale cattolico conservatore belga “Le Vingtième Siècle” fra il 1929 e il 1930; nel 1930 uscì l’edizione in volume, in tiratura estremamente limitata; la prima ristampa (anastatica, senza introduzione o commenti editoriali) in lingua francese e in più ampia tiratura (escludendo dunque un’edizione speciale fuori commercio del 1969 destinata a disegnatori e amici di Hergé) si ebbe solo nel 1973 (un po’ “mimetizzata” insieme ad altri titoli e personaggi nella collana degli “Archives Hergé”); nel 1981 ecco finalmente l’edizione in volume singolo, sempre per i tipi della Casterman. Per la prima versione italiana in assoluto si dovette invece aspettare addirittura il 1990, quando erano ancora impolverati i calcinacci del Muro di Berlino; fu l’illuminato (conservatore? liberale?) Rinaldo Traini (1931 – 2019), con la sua casa editrice romana Comic Art che proprio in quegli anni stava ristampando i libri di Tintin, a decidere che – infischiandosene delle polemiche – era giunta l’ora di far cadere la censura sul debutto narrativo di questo fortunato personaggio, che in Italia mieteva successo da decenni con la Gandus e altri. La storia “sovietica” – inutile girarci intorno – è infatti profondamente anticomunista (riflettendo in tal senso quelle che erano sempre state le opinioni personali dell’autore) e prima del 1990 in Italia chi avesse osato pubblicarla avrebbe potuto rischiare grosso, anche fisicamente: in essa Hergé, amico e collaboratore di Leon Degrelle (tanto che il fumettista sarebbe stato a un passo dal rexismo), metteva in scena tutti i luoghi comuni sull’URSS degli anni Venti, con la popolazione affamata e schiavizzata da un apparato statale poliziesco implacabile, con la penuria di ogni bene, etc..
Al lato temporale opposto abbiamo Tintin e l’Alph-Art (Tintin et l’Alph-Art), dedicata all’arte contemporanea: fu iniziata nel 1978, e venne scritta e sceneggiata per intero, ma non fu mai portata a termine dal Maestro per quanto attiene ai disegni; pochi anni dopo la morte di Hergé un altro grande fumettista belga, Bob de Moor (1925 – 1992), ebbe l’incarico dalla vedova di concludere l’opera, ma il progetto cadde nel nulla per un misterioso ripensamento della signora; nel 1986 i puntigliosi eredi Hergé – che da sempre vietano l’utilizzo del personaggio per nuove avventure – diedero il permesso alla Casterman di pubblicare tutto il materiale inedito esistente; uscì così una bizzarra edizione in cofanetto, dove il facsimile di quello che doveva essere il blocco da disegno di Hergé, riempito con i layout delle tavole (essenzialmente matite, più o meno abbozzate, con sporadiche rifiniture a china), fu affiancato alla trascrizione dei dialoghi; la prima edizione italiana di questo embrione di storia apparve solo nel 2011 (per Rizzoli Lizard).
Un’altra curiosità editoriale riguarda la doppia versione delle prime dieci avventure, che originariamente erano in bianco-e-nero. La storia dei Sovieti non fu mai ridisegnata da Hergé (una versione a colori a tiratura limitata fu approntata nel 2017, senza ritoccare le matite e le chine originali) e, come abbiamo detto, fu abbandonata per decenni per paura di ritorsioni comuniste o più probabilmente per una riconsiderazione dell’autore sui contenuti, che magari ritenne essere troppo orientati politicamente in epoche successive alla prima uscita.
Le storie che vanno dalla seconda, Tintin in Congo, alla decima, Il granchio d’oro (periodo 1930/1941), furono invece ridisegnate, rimontate (per passare dal formato di pagina a tre strisce a quello a quattro strisce) e colorate (a cura di Jacobs, nientemeno, che se ne occupò fino alla 14a avventura, prima che entrasse in funzione la squadra dello Studio Hergé), e tutto questo per le nuove edizioni in volume, uscite fra il 1943 e il 1955 (questo processo non avvenne in ordine cronologico); i disegni furono completamente rifatti per i quattro episodi che vanno da Tintin in Congo a Il drago blu, usando da parte di Hergé un tratto più “in linea con la linea chiara”, mitigando certe “asperità” iniziali e modernizzando somaticamente il personaggio principale; fra le due edizioni si notano anche più o meno vistose differenze di sceneggiatura (dovute soprattutto a mutamenti geopolitici internazionali); nel 1939/40, fra Lo scettro di Ottokar (Le sceptre d’Ottokar, 1938/39) e Il granchio d’oro, Hergé aveva pubblicato le prime puntate in bianco-e-nero della nona storia, Tintin au pays del’or noir (Tintin nel paese dell’oro nero), ma non fu mai portata a termine in questa versione a causa dell’invasione tedesca del Belgio; la versione completa uscì dunque direttamente a colori nel 1948/50.
La stella misteriosa (L’Étoile mystérieuse) del 1941/42 è la prima avventura a nascere completamente in edizione definitiva e a colori dalla mente di Hergé, senza versioni precedenti in bianco-e-nero.
IL FANTASTICO
Caso vuole che La stella misteriosa sia anche la prima storia in cui l’elemento fantastico, per l’esattezza fantascientifico, diventa protagonista nella serie di “Tintin”.
A dirla tutta anche in alcuni degli episodi precedenti c’erano stati accenni al mistero o al soprannaturale, pur se nelle maggior parte dei casi la soluzione dell’intreccio era del tutto prosaica (gli inglesi parlerebbero di debunking). È questo il caso di Tintin in Congo (Tintin au Congo, 1930/31 e 1946), una delle storie più rimaneggiate nella versione a colori successiva, edita nel dopoguerra, per mitigare il ritratto stereotipato con il quale era stato tratteggiato originariamente l’africano suddito del Re dei Belgi: il terribile Uomo Leopardo, mascherato e con artigli metallici, che ha il compito di uccidere i bianchi oppressori dei suoi connazionali, si rivela essere non un’entità soprannaturale ma lo sciamano ubriacone di un villaggio di indigeni irretito da un “maneggione” europeo. I sigari del faraone (Les cigares du pharaon, 1932/34 e 1955), altro esempio, è una vicenda ambientata in Egitto e in India, terre di per sé misteriose – tra mummie, profanatori di tombe, contrabbandieri, cospiratori e sette segrete; in una suggestiva sequenza Tintin viene narcotizzato mentre esplora un sepolcro egizio e le allucinazioni che soffre in seguito al rilascio di un gas soporifero potrebbero essere paragonate a un trip psichedelico (qualcosa di simile capitava a Paperino in Rip Van Donald del 1950, la celebre drug story di Carl Barks, e più volte sarebbe accaduto al Martin Mystère di Alfredo Castelli, dal 1982 in poi, incappando in certi automatismi posti a difesa dei laboratori perduti e delle “capsule del tempo” di Atlantide); in questa avventura appaiono per la prima volta due personaggi ricorrenti nella serie, gli ingenui poliziotti “quasi gemelli” Dupond & Dupont. Altra storia parecchio modificata per non urtare sensibilità (geo)politiche diverse in periodi (geo)politici diversi fu Il drago blu (Le lotus bleu, 1934/35 e 1946, rinominato in Italia Il loto blu nell’ultima edizione del 2017, allegata alla “Gazzetta dello Sport” e al “Corriere della Sera”), seguito dei Sigari del faraone; ambientata in India e in Estremo Oriente risente ancora una volta del fascino arcano di quei luoghi esotici; il fachiro indiano che sopporta stoicamente ogni genere di puntura, taglio e tortura è sicuramente un essere dalle doti super-umane (anche se poi lo vediamo lamentarsi con estremo dolore dell’eccessiva comodità di un morbido divano). Da notare davvero di sfuggita una delle vignette finali dell’avventura L’orecchio spezzato (L’oreille cassée, 1935/37 e 1943) con le anime dei due criminali morti affogati portate via da tre terribili e beffardi diavoletti neri rappresentati secondo l’iconografia cristiana (avrà Hergé conosciuto gli affreschi della Cappella di San Brizio nel Duomo di Orvieto?). Anche L’Isola Nera (L’Île Noir, 1937/38 e 1943) è essenzialmente un’avventura classica, di ambientazione scozzese; in alcune sequenze appare però La Bête, La Bestia, che non è il Mostro di Loch Ness, come all’inizio supponeva Tintin, ma un forzutissimo gorilla selvaggio, che potrebbe essere paragonato, con qualche sforzo di fantasia, all’orango omicida che appare nel racconto I delitti della Rue Morgue di Edgar A. Poe.
La Stella Misteriosa, dicevo. Dopo aver raccontato essenzialmente vicende di contrabbandieri, predoni, rivoluzionari, terroristi e ladri internazionali, Hergé decide di scrivere un’avventura con un’ossatura fantascientifica. Recluta di nuovo quello che diventerà il co-protagonista della serie, il capitano Haddock, marinaio esperto e orgoglioso alcolista, presentato nella storia precedente, Il granchio d’oro (Le crabe aux pinces d’or, 1940/41 e 1943, la prima avventura a venire pubblicata a puntate su “Le Soir”, nel supplemento giovanile), e s’imbarca letteralmente alla ricerca di un misterioso meteorite. L’inizio dell’episodio è davvero catastrofico: l’Orsa Maggiore sembra avere aggiunto una nuova stella alla sua configurazione, un corpo celeste che diventa sempre più grande; un caldo tropicale assedia la città di notte; all’osservatorio astronomico confermano che sta per avvicinarsi la fine del mondo, a causa dell’impatto imminente con una gigantesca meteora; i ratti fuggono via dalle fogne; l’asfalto si scioglie e le gomme delle auto scoppiano per il gran calore; un terremoto di media intensità scuote il pianeta e le acque dei mari si innalzano di qualche centimetro provocando modesti tsunami e allagamenti nelle vie urbane. La Terra è salva: solo un frammento dell’astro vagante è precipitato al suolo, mentre il resto del bolide ha solo sfiorato il globo; il meteorite è caduto vicino al Polo Nord e ha fuso parte della banchina polare. Dopo l’inizio degno del miglior romanzo di fantascienza, Hergé “ritorna con i piedi per terra”. Due spedizioni – una autorizzata, quella di Tintin e Haddock, e l’altra organizzata da criminali attirati solo dai guadagni promessi dai rari metalli e minerali dei quali è fatto il corpo celeste – partono alla volta del Mare Artico, in una gara letale senza esclusioni di colpi. La “stella misteriosa”, che viene raggiunta per prima dall’equipaggio di Tintin, riserva altre sorprese dopo quelle iniziali, perché qualsiasi cosa vivente penetri sotto la sua superficie, dopo poco tempo cresce in maniera abnorme: ecco dunque che i semi di un torsolo di mela genereranno un melo gigantesco dai frutti titanici e un ragnetto verrà trasformato in un mostro ciclopico. Quello del gigantismo (o della miniaturizzazione che, se osservata da un punto di vista di relatività classica, è la stessa cosa) è un tema ricorrente nella fantascienza letteraria e cinematografica. In anni precedenti al periodo in cui uscì La stella misteriosa, abbiamo notevoli pellicole internazionali, come Il mondo perduto (1935), King Kong (1933), La bambola del diavolo (1936), Dr. Cyclops (1940), etc.
Trifone Girasole, scienziato genialoide e sordo come una campana, appare per la prima volta nell’episodio Il tesoro di Rackam il Rosso (Le trésor de Rackam le Rouge, 1943), seconda parte della storia piratesca Il segreto del Liocorno (Le secret de la Licorne, 1942/43, alla quale si ispirò Spielberg per il suo film del 2011), e non abbandonerà più la serie. Girasole è un asso nell’inventare apparecchiature futuribili: fa imbestialire il prossimo perché non sente bene le domande e non risponde mai a tono, così che sembra sempre prendere per i fondelli l’interlocutore, ma i suoi fantastici marchingegni spesso risolvono situazioni sull’orlo della catastrofe. In questo episodio è proprio grazie al suo avveniristico sottomarino tascabile a forma di squalo che Tintin riuscirà a esplorare i fondali oceanici alla ricerca di un bottino di corsari dal valore inestimabile.
Altra storia doppia e altro mistero. Le sette sfere di cristallo (Les sept boules de cristal, 1943/44) e, dopo un intervallo di qualche anno a causa del precipitare degli eventi bellici e dei problemi che ebbe Hergé con le accuse di collaborazionismo da parte dei “partigiani”, Il Tempio del Sole (Le Temple du Soleil, 1946/48, pubblicato a puntate non più su “Le Soir”, ma su una rivista settimanale creata appositamente, “Le Journal de Tintin” dell’editore Le Lombard), presentano per la prima volta nella saga un elemento del tutto soprannaturale. I discendenti degli Incas, che intendono punire tutti i membri di una spedizione scientifica europea, accusati di aver profanato i loto templi trafugando una mummia sacra, si avvalgono non soltanto di un gas derivato dalle foglie di coca che fa impazzire chi lo respira ma soprattutto di feticci che consentono di provocare sofferenze a distanza ai malcapitati ai quali sono magicamente collegati (funzionano esattamente come le “bambole” del vudù). Questo popolo sudamericano tradizionalista e vendicativo è comunque inspiegabilmente arretrato da un punto di vista astronomico: non è a conoscenza del fenomeno dell’eclissi e Tintin, caduto prigioniero e in procinto di essere sacrificato a sanguinarie divinità, sfrutta questa ignoranza per far credere agli indigeni di aver il potere di far scomparire e riapparire il Sole.
Arriviamo così a Tintin nel paese dell’oro nero, altra storia dal destino editoriale accidentato, più volte rimaneggiata ed edulcorata per non offendere a turno arabi, palestinesi e inglesi; anche se le puntate a colori apparvero su “Le Journal de Tintin” fra il 1948 e il 1950 (con edizione in volume del 1950) la versione definitiva, quella che ancora oggi viene ristampata, è del 1969. Come abbiamo detto Hergé aveva disegnato e pubblicato la prima parte di questa storia già nel 1939/40, prima della creazione del Capitano Haddock; solo nel 1948/50 completò l’episodio ed ecco spiegato perché l’importante comprimario di Tintin appare solo nel finale del racconto. Pur essendo essenzialmente un’avventura classica di respiro internazionale, Tintin nel paese dell’oro nero inizia come un romanzo o un film di fantascienza del genere catastrofico, nel solco della Stella misteriosa: in tutto il mondo sta succedendo qualcosa ai motori di automobili e velivoli, che esplodono improvvisamente, creando spaventosi incidenti. Sembra che la benzina non sia più “buona”, che qualcosa la renda estremamente pericolosa. Alla fine saranno i due stupidi poliziotti Dupond & Dupont a risolvere loro malgrado l’enigma; compresse di falsa Aspirina da loro ingerite tingeranno di giallo la loro pelle e faranno crescer loro in maniera abnorme peli e capelli; questo prodotto, ideato da una potenza nemica di un emirato produttore di petrolio al fine di mettere le mani su ricchi giacimenti di oro nero, aumenta enormemente il potere detonante della benzina, rendendola inutilizzabile.
La fantascienza è sicuramente la protagonista della doppia avventura di Obiettivo Luna (Objectif Lune, 1950) e Uomini sulla Luna (On a marché sur la Lune, 1952/53). Selene era stata da sempre, prima del luglio 1969, uno degli oggetti del desiderio degli scrittori classici più fantasiosi – a partire da Ludovico Ariosto e Jules Verne – e tra i primi film della storia abbiamo senz’altro Viaggio nella Luna di Georges Méliès del 1902 (ispirato per l’appunto al capolavoro Dalla Terra alla Luna del connazionale Verne). Hergé condensa nella sua avventura tutto lo “stato della scienza” della missilistica e dei viaggi spaziali fino a quel momento. Forse, più che di “fantascienza”, sarebbe meglio parlare di “narrativa di anticipazione” perché mai come in questo caso Hergé “anticipa” il futuro. Lo Sputnik, il primo satellite artificiale targato URSS, è del 1957; il primo uomo nello spazio, il russo Gagarin, è del 1961; anche la prima “passeggiata nello spazio” extra-veicolare è sovietica, con Leonov nel 1965; e i primi uomini sulla Luna sono del 1969, con la squadra americana guidata da Armstrong.
Il Razzo Lunare di Tintin – ideato dal vulcanico e straLunato Girasole – decolla invece nel 1950, avendo alle spalle tutta una serie di prove scientifiche, minuziose cianografie e speciali attrezzature; i passeggeri partono sdraiati su morbidi materassi per mitigare la tremenda accelerazione di gravità; le uniformi spaziali sono molto più simili a scafandri da palombari che alle versatili tute che sarebbero state poi realmente usate da sovietici e americani. Questo razzo fa storia a sé: la sua forma e la sua livrea a scacchi bianchi e rossi alternati avrebbero fatto parecchio discutere negli anni a seguire. L’ordigno somiglia infatti molto da vicino all’Aggregat 4 (A4) noto anche come V2 (Vergeltungswaffe 2, Arma di Rappresaglia 2, avendo come progenitrice la “bomba volante” V1, il terrore di Londra); fu il primo missile balistico della storia, progettato da Von Braun e lanciato a più riprese a partire dal 1942; nel 1944 la V2 fu il primo oggetto artificiale a entrare nello spazio, avendo superato i 100 km di altitudine; nel 1946 gli americani ne fecero decollare uno dagli USA e riuscirono a scattare la prima foto della Terra vista dall’orbita; con Von Braun ben inserito nella Operation Paperclip, i progetti della V2 portarono direttamente ai programmi spaziali statunitensi Mercury e Apollo (e dunque anche sotto questo aspetto Hergé fu profeta). Hergé segue la scienza in maniera fedele: il razzo di Girasole riesce a “simulare la gravità” grazie all’accelerazione costante fornita da un motore atomico; a propulsori spenti i passeggeri fluttuano nella cabina in assenza di peso; l’incontro con un asteroide crea problemi gravitazionali e indesiderate deviazioni di rotta a causa dell’effetto fionda; la passeggiata di Tintin e Haddock fuori dal missile è in linea con le analoghe imprese che si sarebbero viste solo a partire dal decennio successivo; sulla Luna di Tintin la gravità è correttamente 1/6 di quella terrestre e gli astronauti procedono a grandi balzi sulla superficie; le riserve di ghiaccio che i protagonisti trovano sulla Luna all’interno di una caverna si sono poi rivelate una realtà, come è stato confermato anche da studi scientifici pubblicati nel 2020; etc.
L’Operazione Graffetta – architettata dagli Statunitensi per riciclare scienziati tedeschi e ricerche scientifiche (soprattutto in ambito medico, militare e aeronautico) dell’epoca nazionalsocialista – diventa in qualche modo la protagonista della storia L’affare Girasole (L’affaire Tournesol, 1954/56). Grazie a Girasole e alla scienza bellica germanica degli anni ‘40, una potenza straniera ostile dell’Europa orientale appronta un’apparecchiatura capace di sfruttare le onde sonore come arma e manda in frantumi vetri, bicchieri e specchi di mezza Francia (l’avventura ha un inizio da “fine del mondo”, accorgimento narrativo più volte usato in precedenza da Hergé); in una vignetta appare anche la copertina di un libro realmente esistente – German Research in World War II di Leslie E. Simon, pubblicato negli USA nel 1948 – con l’unica differenza che sulla sagoma dell’aereo a reazione come appariva sulla copertina originale c’era un’enorme svastica bianca; sul volume c’è anche una svettante V2, con l’identica forma e livrea bianco-rossa del razzo lunare di Tintin; in questa maniera Hergé svelava in modo inequivocabile ai suoi lettori quale era stata la sua fonte d’ispirazione. Per quanto invece attiene all’arma sonora… fantascienza o realtà, ipotesi scientifica o futuro remoto?
Seppur in gran parte dedicato all’avventura di stampo classico (un incidente aereo sul Tetto del Mondo e la conseguente ricerca di un caro amico forse sopravvissuto al disastro) Tintin in Tibet (Tintin au Tibet, 1958/59) non poteva esimersi di evocare lo Yeti, l’Abominevole Uomo delle Nevi dell’Himalaya, una specie di uomo del tutto diversa dal Sapiens Sapiens: il “mostro” esiste veramente, anche se sembra una sorta di enorme scimmione, con una testa molto allungata (in tal modo Hergé ricollega l’anatomia cranica di questo suo essere immaginario a un celebre reperto, per cui uno scalpo peloso conservato dai religiosi tibetani sarebbe una reale reliquia dello Yeti). E non solo: abbiamo anche monaci buddisti che levitano in stato di trance!
Dopo aver presentato un prototipo di aereo civile supersonico con ali a geometria variabile (simile al Concorde), l’ipotesi degli “antichi astronauti” (che avrebbero lasciato tracce del loro passaggio sulla Terra in remote sculture e graffiti rupestri) entra in gioco in Volo 714 destinazione Sydney (Vol 714 pour Sydney, 1966/67), dove ci sono anche molti accenni alle varie branche della parapsicologia; ma Hergé va oltre e chiama in causa anche alieni e dischi volanti; uno dei protagonisti, Mik Ezdanitoff della rivista “Cometa”, pur avendo tratti somatici umani, è infatti un extraterrestre in missione che aspetta di essere prelevato da un’astronave luminosa a forma di cappello; il fumettista, disegnandone il volto, ha creato un’efficace caricatura di Jacques Bergier, editore di “Planète”, giornalista del paranormale, del misterioso e del “realismo magico”, co-autore del celeberrimo saggio Il mattino dei maghi. Siamo arrivati così alla fine del nostro lungo viaggio: le ultime due storie della saga (Tintin e i Picaros e la già citata Tintin e l’Alph-Art) non contengono spunti fantastici.
Francesco Manetti
19.01.2025