Sab. Dic 21st, 2024

E’ presumibile che il conflitto russo-ucraino subisca a breve una radicale trasformazione. Non può essere diversamente, per tutta una serie di ragioni che cercheremo di esaminare. La prima e forse la più importante sta nel raggiungimento dell’obbiettivo minimo che Putin ed i suoi capi militari si erano prefissati al momento dell’inizio delle operazioni. Di sicuro non il pacchetto totale, che contemplava anche Odessa e la chiusura al mare per Kiev, ma un 70% dei risultati pianificati è arrivato. A costi altissimi e sicuramente non del tutto previsti, ma la creazione di una fascia di sicurezza fortemente bunkerizzata è ormai cosa acquisita dalla quale sarà ben difficile tornare indietro. A poco serviranno le declamazioni dell’eroismo e del cuore leonino ucraino che, se aiutato dall’occidente (come se fino ad ora gli ucraini avessero combattuto con i vecchi ak47), riuscirà a ricacciare oltre confine l’aggressore. Non sarà così perché le pianure delle oblast occupate non sono le montagne afghane e, piaccia o meno ad un occidente tanto ipocrita quanto cinico, le possibilità che le forze ucraine tornino a piantare la bandiera nelle oblast russofone sono praticamente quasi nulle. E non parliamo della Crimea, che solo la propaganda ucraina pensa di poter riportare  sotto il vessillo giallo celeste.

La tanto pubblicizzata controffensiva primaverile ucraina ad oggi segna il passo. Forse in attesa che Zelensky riesca a convincere i fornitori d’oltreoceano ad inviare armamenti ancor più incisivi che potrebbero aiutare le truppe di Kiev a sfondare qualche punto debole, tipo Bakmut. Ma con quale prospettiva strategica? E soprattutto, a quale prezzo? Avrebbe senso riprendersi una cittadina, per quanto moralmente importante, e farne una specie di enclave circondata dalle batterie missilistiche russe? O i generali di Kiev pensano di poter sfondare il fronte e dilagare in territorio russo? Un conto è punzecchiare con i droni lo spazio aereo russo e altra cosa è portare e soprattutto mantenere delle divisioni oltre l’attuale linea di contatto solo per interrompere il fronte russo di qualche chilometro. Ma a quanto pare tra i buoni è ormai consolidata l’idea che con l’indomita volontà, i dollari (e gli euro) e il continuo flusso di armi i cattivi avranno la sorte irrimediabilmente segnata. Purtroppo le visioni manichee devono lasciare il posto al realismo, perché in politica e a maggior ragione nella politica di guerra è molto più appropriato parlare di forze in campo. E nel novero delle forze entrano si il morale e la determinazione, ma senza una massa d’impatto adeguata nel canonico rapporto di 3 a 1 per chi attacca e senza un supporto alle spalle che eventualmente permetta di mantenere ciò che si è acquisito, il tutto può veramente diventare una vittoria di Pirro. Se historia docet, basta ricordare l’impresa tedesca dell’armata di Von Paulus nella seconda guerra mondiale.

Diciamo allora che se la controffensiva ci sarà e avrà un minimo di risultato (giacché tendiamo ad escludere risultati eclatanti) potrà servire agli ucraini ad accettare il tavolo del cessate il fuoco con in mano un jolly conquistato alla fine del conflitto. Se invece non ci sarà controffensiva o comunque non sarà del peso minimamente necessario, è probabile che le trattative avranno inizio prima della stagione invernale. Ciò permetterà una cristallizzazione definitiva del lunghissimo fronte e da lì inizierà il difficile lavoro della diplomazia. Non senza la possibilità di scontri sporadici tra le milizie irregolari, che a nulla serviranno a cambiare la linea del fronte, ma solo a rafforzare quella delle divisioni e dell’odio.

Questa possibilità è da prendere in seria considerazione giacché sarebbe funzionale al raggiungimento di uno status quo che potrebbe interessare i principali attori strategici. I decisori di Washington devono pensare alla riconferma di Biden e il raggiungimento di una pace, o almeno di una tregua del conflitto, può senza dubbio aiutare gli USA a disimpegnarsi da uno sforzo militare ed economico in favore di Kiev, che non ha certo accaniti tifosi negli  States. In seconda battuta si troverebbero di fronte un non disprezzabile risultato strategico, ovvero lo spostamento verso est di almeno 500 km. della fascia amica, visto che se anche l’Ucraina non potrà diventare membro effettivo della NATO, di fatto sarà un membro NATO-travestito. Allo stesso tempo a Washington potranno contare su nuovi fidi scudieri emersi come tali dalle vicende di guerra: Polonia, Romania, Finlandia e paesi baltici, sui quali lo UK non più UE svolgerà una funzione di tutorato come senior partner. Mentre Italia, Germania e Francia, ormai considerati partner non più affidabili per la logica NATO (leggasi Stati Uniti) diverranno le retrovie di quella che si appresta ad essere la nuova cortina di ferro. Da un punto di vista squisitamente  geostrategico gli USA otterrebbero poi di alleggerire il loro impegno sul versante europeo, delegando appunto a UK e ai clienti più anti russi il ruolo di pilastri della nuova architettura NATO. Facendo questo potrebbero convogliare maggiori risorse e attenzioni verso l’area indo-pacifica e completare quella formidabile cintura di contenimento anti cinese che stanno preparando ormai da tempo, con il supporto di Giappone, India ed Australia.

Dal punto di vista di Mosca la fine dei combattimenti cristallizzerebbe una situazione tutto sommato accettabile. Difficilmente sentiremo parlare di rivendicazioni sulla Crimea , divenendo la penisola un avamposto russo ormai acquisito, mentre le 4 oblast conquistate manu militari si trasformeranno in una fascia di sicurezza linguisticamente, eticamente e amministrativamente russe. Con un ulteriore vantaggio: in fase di trattative di pace verrà costituita una cintura  profonda svariati chilometri che allontanerà i due contendenti dall’attuale punto di contatto. Questa fascia, presumibilmente lunga tutta la linea del fronte, vedrà impegnate le forze internazionali di interposizione per molti anni a venire. I risultati che Putin avrà ottenuto saranno nel complesso accettabili perché avrà comunque ristabilito una distanza di sicurezza con le prime linee orientali della NATO, l’Ucraina non sarà membro della stessa per i prossimi decenni e, non da ultimo, avrà dimostrato alla sua gente (ma non solo a loro) che la Grande Madre Russia rimane l’unico argine credibile alla volontà egemonica degli USA. Restando comunque una nazione con la quale non si potrà far a meno di discutere, salvando così quell’habitus imperiale che in Russia ha il suo perché e soprattutto molti ultras tra la gente comune. Indubbiamente il risultato  è costato moltissimo in termini umani e materiali e forse potrà anche avere ripercussioni socio politiche interne  non indifferenti, ma dal punto di vista di una potenza imperiale come la Russia non c’erano altri metodi per districare la matassa. Se non altro perché dal 2014 al 2022 i tentativi di spegnere il fuoco erano sempre miseramente falliti. Del resto, pur con le debite proporzioni, non adottarono una soluzione simile gli USA con l’intervento a Panama nel dicembre 1989?

Veniamo al terzo attore strategico, quella Cina che dal 24 febbraio 2022 pare essere il convitato di pietra della crisi. La fine delle ostilità non può non trovare forti consensi a Pechino, giacché per il “sistema Cina” gli stati di grave tensione internazionale non sono mai un buon viatico per la crescita cui esso aspira. Tanto più che per il Dragone gli effetti deleteri del covid sono stati molto più negativi rispetto ad altre potenze, avendo di fatto precluso il sorpasso sugli USA stimato tra il 2028 ed il 2032. Una pace favorevole a Mosca non potrà che riscuotere interesse a Pechino perché il sistema sanzionatorio che verosimilmente continuerà a produrre effetti sulla Russia permetterà alla Cina di rimanerne il partner per eccellenza. Con enormi ricadute benefiche in termini di approvvigionamento energetico a prezzi di favore. Non è dato sapere se la Cina potrà avere un importante ruolo di mediazione nella futura pace. Se lo dovesse avere è da ritenere che ne gioverebbe in credibilità politica a livello internazionale e potrebbe riscuotere degli interessanti dividendi per rendere meno complicata la sua propensione verso occidente attraverso le nuove vie della seta, ultimamente in fase di stallo.

Lasciamo le ultime considerazioni per la UE. Nonostante il protagonismo di Macron l’Europa sembra aver imboccato la strada della rinuncia, persino su questioni che la toccano in prima persona. È un atteggiamento quasi sconcertante. Addirittura ne emerge un’Europa che, pur senza dirlo, è divisa su tutto ciò che riguarda la postura da tenere verso il conflitto: dagli antirussi radicali e facinorosi agli antiucraini convinti si trova uno spettro con molte lunghezze d’onda. Data la particolare natura delle genti d’Europa, non è tanto questo aspetto che crea stupore, quanto piuttosto la propensione a rimanere sempre terreno di sperimentazione delle iniziative politiche e militari altrui.

È così vero che non appare peregrina l’ipotesi secondo cui il dopo guerra vedrà una sorta di rivoluzione interna alla NATO. Si è già accennato ad approcci diversi e diversa considerazione da parte degli USA nei confronti degli stati partners della grande alleanza. Ipotizzare una “nuova” NATO non è idea così malsana. Ve ne sono tutti i presupposti. Da un lato Polonia, Finlandia, Romania e stati baltici, propensi ad assumersi le responsabilità di nuove linee  antirusse con la neanche troppo velata volontà di divenire ospiti di basi con vettori strategici nucleari, dall’altro paesi sempre meno convinti del loro ruolo nella NATO antirussa.

Se non fosse per quella incapacità decisionale atavica, che soprattutto in ambito militare e in politica estera attanaglia la UE, si potrebbe sperare in qualcosa di nuovo all’orizzonte, proprio grazie ad un certo “irrigidimento” verso la Nato da parte di capitali storiche come Roma, Parigi e Berlino.  Ma c’è da credere che la misera creatura politica e militare continuerà nella sua poco edificante postura di sempre: in mezzo al guado.

Fernando Volpi

21/07/2023