Nel vasto teatro della Guerra Grande i due principali punti di scontro, quelli dove si muore per davvero, potrebbero essere prossimi ad una svolta. L’ultimo provvedimento della UE per il fronte russo-ucraino, che segue quello molto più corposo degli USA, ha previsto l’ennesimo pacchetto sanzionatorio e qualche spicciolo da aggiungere al fiume di denaro che un Biden in grande difficoltà ha ottenuto dal Congresso poche settimane fa. Se la UE deve fare i conti con i mal di pancia di qualcuno non proprio antirusso e sulla scarsa propensione del vecchio continente a spendere per difendersi da un pericolo di cui si è poco convinti, ben diversa è la scelta fatta a Washington. Da quest’ultima emerge inequivocabile un obbiettivo strategico di lungo periodo: a costo di dissanguare (letteralmente) un’intera nazione, dunque senza farsi troppe remore “umanitarie”, e con l’arcigna volontà dell’oligarchia ucraina al potere grazie ai cannoni tuonanti, gli USA hanno scelto di non cedere sul fronte europeo.
Anzi, con ogni probabilità auspicano un nuovo Afghanistan, che possa costare alla Russia neo zarista di Putin quel che costarono all’impero sovietico dieci anni di guerra tra le montagne afgane. Inutile dire che i tempi e le condizioni sono decisamente diversi, ma è probabile che lo stato profondo che si occupa di gestire la politica estera dell’amministrazione Biden abbia fatto la scelta di non cedere più un centimetro, dopo che negli ultimi anni i passi a ritroso a stellestrisce sono stati abbastanza evidenti in giro per il globo. L’imperativo è dunque quello di tenere botta, tanto ad estinguersi fisicamente sarà un popolo lontano migliaia di miglia, che avrà armi ed equipaggiamenti per resistere, ma ad un certo punto non più uomini per utilizzarli.
L’auspicio di Washington di stazionare la guerra lungo la lunghissima linea del fronte, ormai consolidatasi dopo il fallimento totale della controffensiva ucraina, è l’unica soluzione che maschererebbe (male) una sconfitta bella e buona sul campo. Che, attenzione, non si traduce in conseguente successo per la Russia, visto che per riuscire a controllare una porzione corrispondente a poco più del 20% del territorio ucraino ci sono voluti circa mezzo milioni di caduti e quantità esponenziali di armi, materiali e mezzi. Ed è questo aspetto che per la Casa Bianca ha un significato estremamente importante: in caso di prossima pace l’orso russo avrà pur conquistato una buona fetta di Ucraina e si sarà definitivamente insediato su un mare caldo (risultati non proprio modesti), ma dovrà pagare pegno per decenni a venire, facendo l’armigero alle porte orientali dell’Europa. Con salasso di risorse non proprio banale per un paese che alla fine dei salmi ha pur sempre il pil di una media potenza.
Dall’altro lato della barricata gli USA, pur in difficoltà strutturali ben note e con problematiche interne importanti, avranno invece dalla loro parte un jolly che gli viene dalla predisposizione di paesi come Polonia, Romania e stati baltici a rimpiazzare la più annacquata fedeltà atlantica di Italia, Germania e Spagna. Non è un caso, infatti, che quello che gli osservatori più al dentro degli argomenti in questione chiamano “istmo d’Europa” passi lungo l’asse che congiunge Mar Baltico e Mar Nero. In questo modo, chiusa la vicenda ucraina con un “blocco coreano” sull’attuale linea del fronte e con l’adesione di Kiev alla UE con la clausola di non adesione a sistemi militari occidentali presenti e futuri, avremo con ogni probabilità una riedizione della cortina di ferro.
Questo scenario consentirà a Washington di ingessare l’Europa ad est, spostando da Germania, Italia e Spagna verso Polonia, Romania, Finlandia e stati baltici molti degli arsenali e delle forze strategiche, evitando incrementi di spese militari in una fase delicata come l’attuale, nella quale l’Indo-Pacifico resta la priorità assoluta e, forse, anche il Medio Oriente tornerà nelle prime pagine dell’agenda strategica della Casa Bianca e del Pentagono.
Il secondo fronte dove è possibile una svolta nel breve-medio termine è proprio quello mediorientale, sebbene le prossime elezioni americane possano aprire a scenari completamente opposti, giacchè la vittoria del filosionista Trump potrebbe completamente rimescolare le carte rispetto alla situazione cristallizzatasi su un sostanziale cul de sac derivante dalla “prudenza”di Biden. Ad onor del vero va detto che se Biden avesse avuto ancora un anno davanti a se’ il dossier israelo-palestinese avrebbe potuto avere un esito nel giro di qualche mese. E magari lievemente favorevole ai palestinesi, anche grazie alle pressioni che le monarchie del Golfo stanno esercitando su Washington. Ma il fatto che a novembre l’anziano presidente – che non pare proprio in grado di tenere botta – rischi di dover lasciare il posto ad uno dei presidenti più “destri” e più filosionisti della storia americana, lascia supporre che Bibi Netanyahu farà l’impossibile per rimanere aggrappato al potere, in attesa di un più convinto e schierato soccorso d’oltreoceano. E sapendo chi è Netanyahu, c’è da credere che farà il possibile ed anche di più per non mollare; se non altro perchè una pacificazione, o comunque una diminuzione della tensione, potrebbe portare l’opinione pubblica israeliana a chiedere veramente la testa di colui che negli ultimi 20 anni ha interpretato a modo suo le sorti di quella che viene definita l’unica democrazia del Medio Oriente.
Nel caso in cui la vittoria di Trump significasse un appoggio incondizionato a Netanyahu la svolta potrebbe essere tutt’altro che serena e soprattutto ben diversa da quella che l’uomo medio della strada auspica. Ne potrebbe nascere un allargamento del conflitto nel Libano, dove in queste ore la tensione è tornata a crescere, così come la scelta definitiva di Israele di chiudere la partita con Gaza, facendone una nuova Stalingrado e costringendo Egitto e Giordania a prendersi sulle spalle milioni di profughi.
Quest’ultimo scenario, forse lontano ma neanche troppo di fantasia, sarebbe la scintilla per una svolta che, vista da Gerusalemme, preluderebbe ad una soluzione manichea dell’intero dossier mediorientale: da una parte i buoni nel loro territorio voluto dai Padri e da Dio, mentre i reietti in giro come zingari per il mondo e per tutto il Medio Oriente, pronti a rimpinguare e a creare milizie incontrollate nel nome del Corano, con un odio viscerale verso l’Occidente, dipinto come servo del Grande Satana e del Piccolo Satana.
Fernando Volpi
12.07.2024