Ha fatto scalpore la recente caduta di Credit Suisse e i media hanno subito gridato alla fine di un’era, ovvero alla” disgregazione” del sistema bancario svizzero. Tuttavia non è successo nulla di nuovo poiché la finanza svizzera è da diversi decenni sotto la lente delle potenze occidentali in quanto, in una società fortemente in crisi, il piccolo stato alpino ha rappresentato un porto sicuro per la criminalità organizzata, gli evasori fiscali, i terroristi, gli speculatori finanziari etc… A tendere una mano a queste persone era un sistema bancario che garantiva un quasi totale anonimato per i titolari dei conti correnti. Da più di cento anno la ricetta del successo svizzero era costituita da 3 ingredienti, il primo il segreto bancario, il secondo le società anonime e il terzo un regime fiscale decisamente favorevole in alcuni cantoni come ad esempio quello di Zugo dove i redditi delle holding non venivano tassati. È chiaro che tali condizioni hanno reso particolarmente appetibile la Svizzera, inoltre se ci aggiungiamo il fatto che fino a 15 anni fa non vi erano limiti, e non vi erano troppe formalità, per il deposito e il ritiro di denaro contante è logico che il paese si sia consolidato quale principale piazza finanziaria mondiale.
Ma di “cosa vive” la Svizzera? Leggendo le statistiche dell’Ufficio Federale di Statistica il paese ha un PIL di 800,6 miliardi USD (il PIL della Lombardia è di 367, 9 miliardi USD) il quale è composto per il 73,8% dal settore terziario, 25,5% settore secondario e il 0,7 dal primario. Concretamente queste percentuali si traducono in una prevalenza di attività riconducibili al settore finanziario e assicurativo.
Fatte le dovute premesse sull’economia elvetica focalizziamoci ora sul sistema bancario del paese; abbiamo visto come il segreto bancario sia stato una delle origini della ricchezza della Svizzera; l’origine di tale istituto affonda nella notte dei tempi, infatti la prima stesura di una norma che vincolava i banchieri alla riservatezza sull’identità dei propri clienti, è del l 1713 anno in cui il Gran Consiglio di Ginevra emanò una norma che obbligava i banchieri a mantenere dei registri dei clienti e dei relativi depositi ma allo stesso tempo vietava a questi di diffonderne il contenuto. Ma perché Ginevra e perché un tale interesse per il settore bancario da parte delle autorità? La risposta richiede un’ulteriore passo indietro nel tempo, in pieno rinascimento quando l’Europa viveva un periodo particolarmente florido dopo la tragedia della peste nera, ma non solo in tale periodo fioriscono le signorie e prende forma il concetto di stato nazionale; parallelamente iniziano le divisioni all’interno della chiesa che daranno vita alla riforma protestante e proprio in questo clima, da una parte di affermazione dei signori e dei loro stati e dall’altra di guerre e profondi scontri sociali, che la “Svizzera” diventa luogo di rifugio per i beni di politici, prelati e mercanti.
Nel XVI secolo sono attestati a Ginevra la famiglia Medici e successivamente, con le persecuzioni verso i protestanti, gli ugonotti i quali porteranno con loro la tradizione bancaria, già affermata in Francia, nella città svizzera. La prima vera istituzionalizzazione del segreto bancario in Svizzera avvenne nel 1934 a seguito dello scandalo della Banca Commerciale di Basilea. Questo istituto bancario fu fondato nel 1863 e mantenne fino al 1890 delle modeste dimensioni per poi trasformarsi in un grande banca; si passò dai 21 milioni del bilancio 1895 ai 666 milioni del bilancio 1928. Tuttavia la fortuna di tale banca aveva origine nei depositi di alcuni importanti imprenditori e politici francesi che avevano depositato i loro averi, non conosciuti al fisco, nelle casse della banca ginevrina; le autorità francesi, nel 1932, sequestrarono una lista di correntisti francesi e inviarono i propri ispettori nella sede di Ginevra. L’arrivo degli ispettori francesi nonché lo scandalo dovuto alla diffusione delle informazioni sui correntisti portò nello stesso anno ad una copiosa emorragia di capitali francesi dallo stesso istituto.
Nel 1934 l’Assemblea Confederale Elvetica approvò la legge sul segreto bancario la quale sanzionava penalmente la diffusione di notizie relative all’identità e al patrimonio dei correntisti. Il destino della Banca Commerciale di Basilea fu segnato da numerosi dissesti finanziari, non solo dovuto al 1932 ma anche da investimenti in Germania che furono colpiti dalla moratoria sui trasferimenti del 1931; il peso delle perdite sarà di 286 milioni. La banca si trovò a non poter fare più fronte ai propri pagamenti per tanto passò sotto la gestione della Società di Banca Svizzera (SBS) la quale mantenne l’istituto con funzioni meramente liquidatorie sui capitali bloccati.
Il secondo dopoguerra non fu dei più tranquilli per il mondo bancario svizzero che fu percorso da numerosi scandali come ad esempio quello della Banca Lloyds di Lugano che dagli anni 60 era il riferimento della borghesia industriale italiana, nel 1974 bruciò 222 milioni di franchi dei propri correntisti. Poi sul finire degli anni 70 fu il turno di Weisscredit. Sicuramente uno dei casi più curiosi e drammatici, per il mondo bancario, fu quello che colpì il Credito Svizzero nella sua filiale di Chiasso dove si creò una voragine di un miliardo di franchi a seguito dello scandalo Texon.
Dagli anni 80 iniziò un periodo che vide crescere l’attenzione internazionale sul riciclaggio dei proventi della criminalità organizzata e dall’evasione fiscale. I nuovi accordi interazionali iniziarono a mettere in discussione il segreto bancario svizzero, poiché gran parte delle misure di prevenzione e repressione si basavano e si basano sullo scambio di informazioni tra vari stati. Da una parte le nuove regolamentazioni internazionali e dall’altra una crisi interna del mercato immobiliare svizzero portarono nel 1991 al fallimento della Cassa di risparmio di Thun (sul riciclaggio Thun/SLT) la quale bruciò 220 milioni di franchi di patrimoni privati e commerciali.
Dalla seconda metà degli anni 90 il colosso svizzero UBS iniziò la sua espansione negli Stati Uniti assumendo una posizione di spicco nel settore degli investimenti; nel 2008 all’indomani del crollo di Lehman Brothers, l’UBS registrò una perdita di 40 miliardi bruciati nella crisi dei subprime. La gravità della situazione portò il governo della Confederazione e la Banca Nazionale Svizzera a disporre un piano di salvataggio a favore della banca il quale prevedeva 6 miliardi da parte della Confederazione e 54 miliardi invece emessi dalla Banca Nazionale. Gli scandali del mondo bancario elvetico non sono finiti, nel 2009 è il turno dell’HSBC di Ginevra, dove un suo funzionario, Hervé Daniel Marcel Falciani, divulgò alle autorità tedesche e francesi una lista di correntisti europei della filiale di Ginevra i quali detenevano fondi non dichiarati alle rispettive autorità fiscali. Sul piano della lotta all’evasione fiscale, le autorità statunitensi puntarono i loro riflettori sulla banca Wegelin & Co., la banca più antica della Svizzera, la quale venne accusata di aver aiutato 100 facoltosi cittadini statunitensi a sottrarre al fisco circa 1,2 miliardi di dollari; dopo tale scandalo la banca ha cessato le sue attività.
L’introduzione del CRS ( Common Reporting Standard) ovvero lo scambio di informazioni automatico tra stati sui depositi bancari dei contribuenti, nonché le misure sempre più restrittive in materia di antiriciclaggio e transazioni finanziarie, hanno portato una profonda crisi all’interno di un settore che nel tempo ha sempre goduto di un ampio spazio di azione al di fuori delle regolamentazioni internazionali e questo ha anche comportato la scomparsa di antiche istituzioni bancarie che non sono riuscite ad adeguarsi ai tempi.
La recente crisi di Credit Suisse non può essere estranea a tutti i vari fattori che abbiamo citato, infatti non sarebbe giusto ricondurre, esclusivamente, la crisi dell’istituto a una cattiva gestione finanziaria, infatti la banca è stata condannata, in Svizzera al pagamento di una multa di 2,1 milioni di dollari per non aver contrastato il riciclaggio di denaro da parte di un’organizzazione bulgara di trafficanti di cocaina, poi fu la volta dello scandalo legato all’ex premier georgiano Bidzina Ivanishvili il quale sarebbe stato frodato da una filiale della banca per 500 milioni di dollari.
Ma la lista continua, il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung ha portato agli onori della cronaca numerosi conti di persone appartenenti ad organizzazioni criminali (inclusa la Ndrangheta) e di funzionari corrotti come Ronald Li, ex-presidente della borsa di Hong Kong incarcerato per corruzione. Ma gli scandali finanziari non finiscono, infatti l’istituto svizzero è stato accusato di frode verso gli investitori in relazione a un prestito di 850 milioni destinato al Mozambico, per ammodernare la flotta dei pescherecci, ma dei quali 200 milioni sarebbero finiti in tangenti a favore degli stessi banchieri. Relativamente alla malagestione finanziaria del gruppo, questo è stato coinvolto riportando perdite pesanti nel fallimento di Archegos, 5,5 miliardi e di Greensill Capital 3 miliardi. Si potrebbe continuare a citare scandali e perdite colossali tuttavia è più significativo quanto dichiaravano gli esperti della Banca nazionale svizzera (BNS) e dell’autorità federale di vigilanza dei mercati finanziari (FINMA) il 13 marzo 2023, “Credit Suisse, non c’è rischio di fallimento”, tuttavia malgrado quanto si pensi la banca non è fallita ma è stata salvata grazie a un importante intervento delle due autorità che avevano rassicurato sulla solidità della banca, e da un decreto che azzera il valore nominale delle obbligazioni AT1 per un totale di 16 miliardi. Infine la storica banca è stata acquisita per 3 miliardi da UBS.
Come diceva Alexis de Tocqueville “La storia è una galleria di quadri dove ci sono pochi originali e molte copie” il caso delle banche svizzere calca a pennello, infatti siamo davanti agli stessi errori che si ripetono sistemicamente come i quadri citati da de Tocqueville l’unica cosa che cambia è la cornice.
Simone Castronovo
22.04.2023