Gio. Nov 21st, 2024

Mai come oggi c’è bisogno di respirare aria nuova. Che sia frizzante, pulita, tersa, come quella delle alte vette, da dove si può dominare, rigenerando corpo e mente, il brulicante arrabattarsi di un mondo sempre più complicato ed incapace di recidere il nodo scorsoio che si è messo al collo. Nel meditare su questa condizione dell’umanità, ormai immersa nella postmodernita’ e nel postcapitalismo, mi è tornato più vivo che mai un passaggio del testo “Socialismo Nazionale. Una sfida per il futuro”, nel quale si enuclea il male oscuro che grava sulle moderne società avanzate: la mancanza della Politica, quella con la lettera maiuscola, che non può venir scimmiottata e spesso ridicolizzata da conduttori televisivi saputelli ed arroganti; quella che dovrebbe avere nel rapporto intimo con la comunità cui si rivolge l’unico riscontro della bontà delle sue misure.

C’è bisogno di vera, buona, alta Politica, come c’è bisogno di uomini e donne che sappiano interpretare il ruolo cui sono chiamati quando scelgono di affrontare un determinato percorso, “di servizio” alla comunità. Ecco allora che prima di tutto diventa determinante il metodo di selezione di una classe politica, la qual cosa non può prescindere da due aspetti fondamentali. Il primo è l’ambito entro cui si vanno ad individuare i futuri rappresentanti e il secondo è la rispettabilità del loro contegno civico nel tempo.

Spendiamo alcune parole sui due concetti appena espressi. Un presupposto essenziale per individuare persone che possano rappresentare fedelmente e responsabilmente lo spaccato di una società sta nella centralità dell’uomo-lavoratore all’interno dell’architettura istituzionale (a qualsiasi livello amministrativo) ovverosia la necessità che la classe politica debba generarsi nell’ambito umano di coloro che quotidianamente offrono braccia e mente per la crescita della casa comune. Questo aspetto implica una scelta di alto profilo, seppur estremamente impopolare: la rappresentanza del Popolo non può passare attraverso gli attuali partiti ma deve essere appannaggio delle categorie del lavoro. La ragione è molto semplice: i partiti sono diventati da tempo luogo di “transumanza” di una vasta pletora umana che vi si annida o vi transita quasi solo per trarne profitto personale o, comunque, per servirsene come mezzo per scalate sociali ed economiche; se non, addirittura, per entrare nei gangli dello Stato come rappresentante di comitati d’affari, consorterie e mafie di ogni risma. Ai partiti, attuale cinghia di trasmissione della rappresentanza politica, dovrebbero essere sostituite le categorie del lavoro e delle professioni, in un’ottica di intreccio indissolubile ed organico tra mondo del lavoro ed istituzioni dello Stato. Obbiettivo ultimo di questa procedura dovrebbe essere la nascita dell’ Uomo Etico, come espressione diretta dell’Uomo Economico e Produttore. Dunque, non più la politica come “mestiere” per pochi, bensì come “servizio” per un numero più ampio possibile di individui. In tal modo si riuscirebbe a colmare quel divario, invero divenuto sempre più evidente ed intollerabile, tra il cosiddetto paese reale e le istituzioni. Ma una particolarità di enorme valenza che ne emergerebbe sarebbe quella di riportare la politica nel suo naturale alveo, la Polis appunto, e riconsegnare al Demos, al Popolo, alla Comunità, il principio alto della democrazia. E con ciò è  certo che si invertirebbe quella deriva astensionistica, che sembra ormai inarrestabile. L’adozione del sistema rappresentativo attraverso le categorie del lavoro eliminerebbe poi un autentico cancro, quel divieto di vincolo di mandato costituzionalmente riconosciuto, che è stato lo strumento principe in soccorso dei trasformisti e del mercanteggiamento nella politica.

Passiamo ad esaminare il secondo concetto: quello del contegno civico da richiedere ai rappresentanti o a chi si candida per essere eletto in qualsiasi consesso istituzionale. Purtroppo in questi ultimi decenni abbiamo avuto esperienza di situazioni anomale diffuse, che hanno visto candidarsi, venire eletti e ricoprire incarichi di responsabilità, personaggi già condannati o sottoposti a procedimento penale ed in attesa di giudizio definitivo. Chiaramente su questo argomento si apre una strada irta di insidie, ben lungi dall’essere condivisa. Anzi, è esso stesso oggetto di diatriba tra presunti garantisti ed altrettanto presunti giustizialisti, cosa che contribuisce a svilire il senso alto e nobile dell’attività politica, riducendola molto spesso ad una lotta senza quartiere tra bande contrapposte, ciascuna in difesa dei propri associati. Eclatanti negli anni sono stati Il caso Berlusconi ed Andreotti, per i quali lo scontro istituzionale tra i poteri dello Stato (il riferimento alla magistratura è d’obbligo) non solo ha reso un pessimo servizio all’idea di Politica, ma ha minato le basi stesse della credibilità dell’apparato statuale. Le varie soluzioni proposte, tra le quali la Legge Severino, per la loro stessa natura di provvedimenti di “pars” hanno sempre di più alimentato lo scontro, contribuendo ad amplificare, in un giro vizioso che inevitabilmente si autosostiene, la non credibilità della politica.

Come venire in soccorso al malato grave? Due semplici provvedimenti potrebbero dare una forte spinta. Il primo è quello di riconoscere ad ogni eletto remunerato (dunque parlamentari nazionali, regionali, presidenti di Regione, sindaci ed assessori) un appannaggio annuale non superiore al netto percepito nella vita lavorativa dell’ultimo anno, mantenendo ovviamente i diritti sull’intangibilità del posto di lavoro e sulla contribuzione previdenziale. Inoltre, parrebbe logica l’eliminazione di ogni beneficio non collegabile all’attività politica svolta, come ad esempio il plafond sulle spese mediche e la gratuità di molti servizi personali. Riconoscendo comunque all’eletto distaccato dalla propria residenza un alloggio decoroso fornito direttamente dallo Stato, al pari di quelli riconosciuti ai militari nelle foresterie delle strutture pubbliche.

Il secondo provvedimento dovrebbe sancire l’ineleggibilità perpetua, dunque anche dopo che la pena sia stata scontata, per chiunque abbia subito condanne per reati contro lo Stato, contro il patrimonio e contro la persona (ad eccezione dei reati per colpa); in base al principio di precauzione la stessa cosa dovrebbe valere per coloro che si trovano in pendenza di giudizio.

A rigor di logica questi provvedimenti dovrebbero comportare una revisione importante della macchina giudiziaria, giacché non si può tenere nessuno nella condizione di imputato per un arco di tempo irragionevole. Ma non solo: si imporrebbe una ristrutturazione globale dell’intera magistratura, cui il recente referendum aveva cercato senza successo di rispondere. Ecco dunque che il tema iniziale che abbiamo intrapreso, se lo si volesse realmente attuare, comporterebbe di per sé una rivisitazione quasi copernicana della struttura stessa della Costituzione e, dunque, dello Stato.

Inutile dire che la strada è piena di ostacoli, tortuosa, molto sconnessa ed anche estremamente ripida. Come ebbi modo di capire tanti anni fa da un docente di Sociologia del lavoro, che stava affrontando il tema della crisi di una nota azienda di stato dove i dirigenti si aumentavano i compensi e le maestranze erano in cassa integrazione, ho quasi la certezza che non ci sarà alcun provvedimento teso a migliorare la qualità della politica. Non ci sarà perché nessuna classe dirigente (sia essa politica od economica) porrà in essere provvedimenti che potrebbero esserle potenzialmente letali. Potranno solo esserci misure di basso profilo sostanziale, ma di efficace richiamo mediatico, utili a gettare fumo negli occhi. Ben poco di più.

La buona politica può nascere solo da una radicale riforma dello Stato, che sgorghi da una nuova  classe dirigente, priva di legami con le sfere di potere vero ed occulto, che il più delle volte sono le vere artefici e responsabili dell’esistenza stessa della cattiva politica. Portare un eletto ad essere in una condizione di non ricattabilità è oggi l’unica soluzione per avere uomini liberi, chiamati a gestire le sorti di altri uomini liberi. E questo sarà possibile solo quando verrà reciso il legame patologico ed impari tra i detentori del potere economico in senso lato (lecito ed illecito), capaci di condizionare l’eleggibilità di chiunque, e gli eletti alle cariche pubbliche. 


Fernando Volpi

03.11.2022

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