Fernando Volpi
All’indomani della fine del secondo conflitto mondiale uno dei principali teatri di crisi affrontati dall’ONU fu quello creatosi a seguito dell’incandescente situazione determinatasi in Palestina[1]. A far esplodere la questione palestinese, e cioè il contrasto, poi trasformatosi in guerra aperta, tra arabi ed ebrei furono diversi fattori. Primo fra tutti la volontà del movimento sionista di far nascere uno stato ebraico in Palestina, una terra considerata dallo stesso movimento la patria naturale del popolo ebreo e abitata ormai da più di mille anni da popolazioni arabe. In secondo luogo concorrevano le mai sopite frizioni tra arabi ed ebrei risalenti ai primi insdediamenti ebraici, nati tra le due guerre mondiali durante l’occupazione britannica, ed infine anche una certa incapacità da parte delle autorità inglesi di comporre le due opposte istanze, incapacità o forse mancanza di volontà imputabile al desiderio britanncio di evitare dissidi con le due comunità.
Fu proprio dal fallimento della politica anglo-americana, evidenziatosi con il nulla di fatto cui approdò la Commissione d’inchiesta anglo-americana, che si giunse ad investire le Nazioni Unite della grave questione. Il problema fu affrontato da una commissione di 11 paesi membri dell’ONU (Australia, Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, Yugoslavia, India, Iran, Paesi Bassi, Perù, Svezia e Uruguay). La Commissione stilò nel novembre 1947 un rapporto, firmato da sette degli undici stati, nel quale si raccomandava la costituzione di uno stato ebraico, di uno stato arabo e di internazionalizzare la città di Gerusalemme.
Nell’aprile 1947, quando i paesi arabi chiesero che l’ONU venisse investita della questione palestinese, la rivista RELAZIONI INTERNAZIONALI[2] espresse la preoccupazione che attorno a quel problema gravitassero gli interessi delle grandi potenze, interessi che contribuivano solo « a rendere più difficile una soluzione » che si sperava di trovare allora attrverso la nomina di una nuova Commissione d’inchiesta. L’autore dell’articolo, Giovanni Lovisetti, proseguiva evidenziando come non ci fosse alcun bisogno di nominare una ennesima commissione e che l’unica cosa da fare era «…di cercare di liberare il groviglio palestinese dalla rete d’interessi che attorno ad esso è stata intessuta, e soprattutto cercare di appianare i contrasti che hanno avvelenato l’atmosfera ». In effetti, si riteneva che L’ONU avrebbe potuto validamente affrontare il problema della Palestina solo se le grandi potenze si fossero accordate su due questioni: la continuazione o meno del mandato britannico e l’afflusso di nuovi immigrati ebrei; in caso contrario anche la nomina della Commissione d’inchiesta da parte delle NU non avrebbe fatto altro che veder «…tramontare le debolissime prospettive d’accordo tra arabi ed ebrei ».
Qualche mese dopo, lo stesso articolista riconfermò le opinioni che aveva manifestato a proposito dell’istituzione della Commssione d’inchiesta dell’ONU poichè questa aveva evidenziato il ruolo non certo positivo svolto dal Regno Unito nel corso del suo mandato e l’impossibilità da parte delle Nazioni Unite di risolvere un problema, attorno al quale troppi erano gli interessi imperialistici in gioco[3].
Nel marzo del 1948 gli Stati Uniti avanzarono la proposta di evitare la spartizione della Palestina e quindi la nascita di due stati etnici, proponendo l’amministrazione fiduciaria da parte dell’ONU. Tale proposta fu commentata positivamente da RELAZIONI INTERNAZIONALI, senz’altro l’unica rivista che seguì e commentò costantemente gli avveniment riguardanti quella parte del medioriente. L’organo dell’ISPI, rilevando che «…l’unico modo per uscire dall’”impasse” palestinese è quello di affidare l’amministrazione del paese ad una commissione dell’ONU », riteneva certo difficile quel compito, al quale, però, l’Organizzazione «…non avrebbe potuto sottrarsi se non voleva tradire gli ideali per i quali è sorta »[4].
Certe posizioni espresse nella rivista dell’ISPI trovavano concordi anche altri commentatori. E’ il caso di Roberto Socini che, analizzando gli aspetti storicie politici del problema palestinese nelle pagine della RIVISTA DI STUDI POLITICI INTERNAZIONALI e individuandone le origini nella particolare posizione geografica del territorio e nel fatto di essere considerato « un elemento di vitale importanza nel quadro della politica mondiale delle grandi potenze», perveniva alla conclusione che le NU sarebbero riuscite a realizzare un progetto di sistemazione della Palestina solo con l’appoggio che «…ad esso siano disposte a dare le grandi potenze »[5]. Socini mostrò una certa propensione in favore del piano federalista auspicato dai delegati di minoranza della Commissione d’inchiesta dell’ONU, piuttosto che per un’amministrazione fiduciaria delle NU, giudicando il primo progetto come il più completo tra quelli attuabili, visto che avrebbe permesso di dare «…una certa soddisfazione alle aspirazioni nazionalistiche degli arabi e degli ebrei pur mantenendo la sostanziale unità politica ed economica dell’intera Palestina»[6]. Proseguendo comunque nella sua analisi, Socini individuava quelli che erano gli ostacoli più evidenti ad un progetto di spartizione della Palestina attuabile all’ONU. Il primo era rappresentato dalla violenta opposizione degli arabi e dal carattere etnicamente troppo misto delle zone di ripartizione, mentre il secondo era da attribuire a ragioni di politica internazionale risalenti alla convinzione che gli Stati Uniti non intendessero appoggiare una soluzione per la cui attuazione si rendeva necessaria, o comunque possibile, la presenza di truppe sovietiche nel Medioriente[7].
L’osservatore di RELAZIONI INTERNAZIONALI proseguì l’analisi della questione palestinese con un articolo del maggio 1948 nel quale individuava ancora nelle incertezze, nella mancanza di volontà delle grandi potenze e nei loro interessi di parte le ragioni per cui l’ONU era arenato nelle secche di una incapacità totale di affrontare il problema, pur lavorandovi ormai da molto tempo[8].
La gravità e la violenza della guerra scoppiata all’indomani della proclamazione dello stato di Israele portò nel luglio del 1948, grazie anche alla minaccia da parte delle NU di applicare le sanzioni previste dallo Statuto, ad una tregua tra le parti. Pur essendo la tregua una sospensione temporanea del conflitto, le Nazioni Unite, ne approfittarono per continuare la loro opera di mediazione. Il 21 maggio 1948 venne infatti nominato un primo mediatore nella persona del conte Bernadotte che, però, pochi mesi dopo venne assassinato. Il successore di Bernadotte, l’americano Bunche, riuscì ad elaborare un nuovo piano di spartizione della Palestina nel quale il Negev, pomo della discordia tra arabi ed ebrei, veniva incluso nello stato arabo-palestinese. Nonostante ciò, il gioco degli opposti interessi politicidelle grandi potenze spinse verso una soluzione favorevole agli ebrei e, quindi, ad un ritorno allo staus quo previsto dal primo piano di spartizione del novembre 1947. Il successo di Israele si completò poi con l’ammissione nelle Nazioni Unite e con l’automatico riconoscimento della sua legittimità.
Il raggiungimento della tregua fu commentato con moderata soddisfazione da RELAZIONI INTERNAZIONALI che, pur considerando la tregua un successo delle NU, in un articolo di Arrigo Levi, non nascondeva la gravità della questione e la precarietà della tregua stessa. Levi notava che dal 1947, e cioè dal varo del piano di spartizione della Palestina previsto dall’ONU, la situazione era profondamente mutata perchè alcuni punti del piano si erano realizzati nonostante l’opposizione araba, facendo ritenere che una sistemazione dell’intera questione non fosse del tutto improbabile. Sempre secondo Levi, tale possibilità non costituiva tuttavia l’anticamera di speranze più rosee, che facessero pensare come imminente il raggiungimento di una pace duratura o, addirittura, una collaborazione tra arabi ed ebrei[9].
Dopo la tregua ottenuta sotto gli auspici dell’ONU, l’azione politica delle Nazioni Unite proseguì con la nomina, nel dicembre del 1948, di una Commissione di conciliazione per la Palestina, che rappresentava l’ennesimo tentativo di mediazione pacifica tra le parti contendenti. La nascita di questo nuovo organismo non dette luogo ad alcun apprezzamento positivo da parte della stampa specializzata. RELAZIONI INTERNAZIONALI, che seguiva costantemente l’evolversi della situazione palestinese considerò, anzi, la nascita della Commissione di conciliazione e le difficoltà di una sua effettiva operatività, il risultato del solito atteggiamento dilatorio delle grandi potenze all’ONU, un atteggiamento che non permetteva all’Organizzazione di fare un passo avanti per la soluzione del problema palestinese. Questo era tantopiù grave in un momento in cui si erano avuti i sintomi che un’azione più decisa da parte dei «grandi» all’ONU avrebbe facilitato una positiva soluzione della questione.
Risulta chiaro, quindi, come RELAZIONI INTERNAZIONALI non nutrisse grande fiducia nelle Nazioni Unite, ritenendo «…che l’unica via per arrivare ad una composizione del conflitto è quella di tener conto delle forze in campo e che una vera soluzione si può trovare solamente in Palestina»[10].
La RIVISTA DI STUDI POLITICI INTERNAZIONALI manifestò una sfiducia ancora maggiore nei confronti dell’operato dell’ONU in un articolo di Cecil Hourani, già apparso su NATIONAL REVIEW, che evidenziò sia il malcontento del mondo arabo per l’incapacità dell’ONU di applicare la giustizia internazionale, sia la delusione per il fallimento di tutte le iniziative promosse dall’Organizzazione. A peggiorare l’atteggiamento negativo verso le NU – proseguiva l’articolo – vi era anche la convinzione radicata negli arabi che, mentre la vecchia SdN era «inefficiente per fare del bene», le Nazioni Unite erano invece «potenti per fare del male». Questa valutazione era la conseguenza dell’analisi della politica delle Nazioni Unite nei confronti degli arabi; una politica che, a parere di Hourani, sotto l’auspicio degli Stati Uniti, aveva dapprima creato il conflitto, poi era intervenuta in favore degli ebrei quando gli arabi furono sul punto di vincere e, infine, si era insabbiata «…nell’inefficienza quando serviva allo scopo degli ebrei»[11]
Opinioni non molto discordanti da quelle di Hourani, anche se meno di parte, furono espresse da Ettore Rossi su LA COMUNITA’ INTERNAZIONALE[12]. Questi sostenne che i problemi della Palestina non derivavano da una decisione di spartizione del territorio in due stati indipendenti, quanto dalle difficoltà applicative che un simile progetto avrebbe comportato. Queste difficoltà erano da far risalire proprio alla natura «…non avveduta o impotente di fronte a troppo gravi problemi» dell’ONU, che, al contrario, avrebbe dovuto esprimere una forza politica necessaria a sostenere ed attuare le sue decisioni. Siccome questa forza l’ONU non ce l’aveva, e di ciò molti erano profondamente convinti, Rossi concludeva che il favore accordato agli ebrei nel corso della vicenda palestinese era da imputare al fatto che l’ONU aveva inteso «premiare la costanza e la volontà di lavoro di un popolo disperso anche andando contro ai diritti preesistenti degli abitanti arabi».
Nonostante le critiche rivolte alla Commissione di conciliazione dell’ONU, fu possibile, grazie all’azione dei suoi membri, passare dalla tregua all’armistizio, siglato nel luglio del 1949. Riflettendo su tali avvenimenti a distanza di tre anni, nel 1952, su LA COMUNITA’ INTERNAZIONALE Ettore Bassan considerò positivamente l’azione che le Nazioni Unite avevano sino ad allora intrapreso a favore della questione palestinese, riconoscendo all’Organizzazione «l’innegabile merito di un grande, positivo successo: quello di avere evitato i pericolosi sviluppi di un conflitto che avrebbe potuto trascinare la nazioni nel baratro di una terza guerra mondiale»[13].
Come è facile constatare, le opinioni sui meriti o i demeriti dell’azione dell’ONU riguardo alle possibilità di una soluzione della questione palestinese furono discordi, anche se le riviste che seguirono più da vicino l’intera vicenda non espressero mai o quasi mai opinioni e commenti favorevoli alla politica dell’ONU, accusata di essere un foro di discussioni sterili e poco produttive, «imbavagliate» dagli interessi delle grandi potenze, vere padrone nel gioco delle contese internazionali.
05.09.2022
Note
[1] Sulla questione palestinese cfr. G.BONFANTI, La questione palestinese, Brescia, 1977; G.CHALIAND, La resistenza palestinese, Milano, 1970; M.HARSGOR e M.STROUN (a cura di J.CINGOLI), Il rifiuto del passato:l’Imbroglio israelo-palestinese, Milano, Baldini e Castoldi, 1992; P.SACCHI, Storia del mondo giudaico, Torino, 1976; A.M.HYAMSON, Palestine under the Mandate (1920-1948), London, Methuen, 1950; W.EYTAN, The first ten years: a diplomatic history of Israel, New York, Simon and Schuster, 1958; V.TORNETTA, La questione palestinese e le NU, Rivista di Studi Politici Internazionali, XVII 1960, 1.
[2] Cfr. G.L. , La Palestina all’ONU, Relazioni Internazionali, XI 1947, 22, pp. 359-360.
[3] Id. , L’ONU e la Palestina, Relazioni Internazionali, XI 1947, 31, pp. 494-495.
[4] Id. , Nuova fase della questione palestinese, Relazioni Internazionali, XII 1948, 13-14, p. 277.
[5] Cfr. R.SOCINI, Il problema politico palestinese, Rivista di Studi Politici Internazionali, XV 1948, 1, pp. 3-4 e 9
[6] Ivi, p.23.
[7] Ivi, pp. 29 e 31.
[8] Cfr. G.L., Che avverrà in Palestina?, Relazioni Internazionali, XII 1948, 20, pp. 370-371.
[9] Cfr. id. , La tregua in Palestina, Relazioni Internazionali, XII 1948, 30, pp. 514-515 e A.L. , Possibilità d’ accordo in Palestina, Relazioni Internazionali XII 1948, 45, p. 739.
[10] Cfr. G.L., Prospettive di pace in Palestina, Relazioni Internazionali XII 1948, 51, pp. 826-827.
[11] Cfr. C.HOURANI, La questione Palestinese, Rivista di Studi Politici Internazionali, XVI 1949, 1, pp. 66-67.
[12] Cfr. E. ROSSI, La Palestina dalla cessazione del mandato ad oggi, La Comunità Internazionale, IV 1949, 2-3, p.219.
[13] Cfr. E.BASSAN, Israele e le Nazioni Unite, La Comunità Internazionale, VII 1952, 2, p.229.