In queste ultime settimane è del tutto naturale che chiunque cerchi di farsi un’idea su quale sarà l’evoluzione della guerra rischia di andare incontro a notevoli difficoltà interpretative, se non altro perché la sovrapposizione di molte narrazioni e teorie non può non creare una vasta congerie di supposizioni, molto spesso “zoppe” o “cieche”, sul futuro del conflitto russo-ucraino. Alla evidente difficoltà nel dare delle letture interpretative quotidiane, si associano le opinioni di quelli che, pur validi opinionisti sulla carta, contribuiscono in realtà a distorcere o a non dare un buon aiuto alla causa della chiarezza. E di chiarezza, purtroppo, ce ne vorrebbe, giacché non stiamo parlando della crisi dell’ennesimo governo tecnico del Bel Paese.
Ecco dunque che non possiamo non meravigliarci quando esperti come l’ex ministro degli esteri, ambasciatore Terzi di Sant’Agata, propone una lettura degli eventi come quella che alcuni giorni fa ha fatto nel corso di un noto programma di approfondimento. Da un tecnico come l’ambasciatore Terzi ci si aspetta molto di più di una narrazione manichea e sensazionalistica della realtà, che non aiuta affatto chi sta a casa, magari preoccupato per il fluire degli eventi, a cercare di farsi un’opinione dalle parole di titolati e prestigiosi analisti di politica internazionale.
Il ridurre tutto ad una lotta tra bene e male, tra blocco euroccidentale e nuovo blocco sino-russo, rispettivamente rappresentativi dei positivi valori dell’umanità e del loro contrario, non aiuta affatto in quel compito di corretta informazione che dovrebbe essere la bussola da seguire per qualsiasi editore e per ogni serio giornalista. Invero, sappiamo benissimo che ciò non avviene quasi mai, per lo meno quando ad essere toccati sono macro interessi per i quali permane una linea da dover mantenere, declinabile abbastanza efficacemente con il termine di “visione partigiana”.
Ebbene, ciò che l’ambasciatore Terzi ha espresso non è stata una valutazione tecnica e professionale (come avrebbe dovuto fare) ma una visione partigiana (nel senso etimologico del termine) della realtà e, se volessimo essere un pò pignoli, anche piuttosto distorta. Questo per due ragioni molto semplici:
1) nel momento in cui si scrivono queste note non esiste un organico blocco sino-russo definibile come tale secondo i crismi della politica internazionale e della diplomazia; tanto meno esiste quello che taluni fantasiosi studiosi domenicali di questioni internazionali hanno definito come il nuovo patto d’acciaio, vale a dire l’intesa che da tempo corre tra Mosca e Pechino. Accorgersi oggi che tra Russia e Cina c’è una concordanza di fini e di opzioni (come del resto c’è tra Russia ed India) appare come una banale scoperta; basta riprendere alcune dichiarazioni di Silvio Berlusconi, quando già nel 2015 ammonì sulla possibile congiuntura di interessi tra Russia e Cina se l’Occidente avesse perseguito la linea oltranzista in Europa Orientale. Francamente non servono lauree e master in geopolitica per arrivare a queste semplici conclusioni. Basta quindi un po’ di buon senso e di logica per capire che non esiste un fantomatico patto d’acciaio, nè nella sostanza dell’attuale situazione, nè tanto meno come riproposizione di quell’asse del male cui si rimanda in modo tanto esplicito quanto storicamente infondato.
2) Possiamo sostanziare quanto si è detto sopra – e dunque evidenziare l’infelice interpretazione di Terzi – rimarcando un fatto incontrovertibile ormai sotto gli occhi di tutti: non esistono nemmeno due visioni opposte del mondo perché, memori delle conclusioni di Fukuyama, i maggiori attori del presunto attuale scontro sono nei fatti portatori convinti di una medesima visione liberalcapitalista dei rapporti socioeconomici. Le potenze dei due “blocchi” sono i punti di riferimento dei mercati finanziari del pianeta; in Cina ed in Russia ci sono molte delle persone più ricche della terra e nessuno dei vertici di quelle potenze si sognerebbe mai di mettere in discussione i principi del capitalismo. Un fatto su tutti basta a far capire: una fetta considerevole del debito sovrano USA, pari a 1.060 miliardi di dollari è detenuta dalla Repubblica Popolare Cinese, quota che segue solo quella del Giappone. Questo significa una cosa molto semplice: l’interconnessione economica e finanziaria è forse seconda solo a quella digitale e le gravi crisi non colpiscono aree delimitate del pianeta senza avere ripercussioni anche altrove.
Per le ragioni che abbiamo velocemente delineato appare dunque un po’ romanzesca l’interpretazione data dall’ambasciatore Terzi. Se non romanzesca, di sicuro fuori tempo, per lo meno nell’ottica interpretativa di uno status quo che è estremamente diverso da quello che abbiamo conosciuto fino al 1991. Non ci sono più i vopos appostati sopra un muro che divide una capitale europea, da dove si scorge il benessere dell’abbondanza e le luci colorate della libertà da una parte, di contro ai cavalli di frisia ed al razionamento alimentare dall’altra. Quel mondo non esiste più! Al contrario, sono l’abbondanza ed il surplus (spesso destinati allo spreco) ad essere divenuti i feticci che tutte le economie liberalcapitaliste perseguono, essendo queste le fonti che permettono al fiume di non prosciugarsi. Tanto a Mosca quanto a Londra, a Washington oppure a Pechino.
Se, invece, vogliamo realmente fare uno sforzo interpretativo serio e magari scorgere una nuova contrapposizione tra blocchi in fieri dobbiamo impegnarci a guardare oltre il nostro corto raggio visuale. Dobbiamo pensare al se e, molto più verosimilmente, al quando, rebus sic stantibus, ci dovremo confrontare con le enormi masse umane provenienti dal sud del mondo che verranno a chiedere senza troppi complimenti una parte (proporzionata al loro crescente ed inarrestabile numero) di quello stile di vita di cui il capitalismo è al contempo oracolo e sacerdote. Allora sì che ci sarà una vera contrapposizione, non ideologica o sui valori cari a Voltaire ed al neopositivismo oggi in voga, ma piuttosto su chi riuscirà a sopravvivere o meno.
Ma di questo il mainstream imbavagliato non vuole occuparsi più di tanto e preferisce dare in pasto ad utenti sempre più passivi narrazioni lacunose, ma decisamente più facili da assimilare.
Fernando Volpi
12.05.2022