La guerra in Ucraina ha acceso nuovamente i riflettori su un tema particolarmente complesso ovvero quello l’arruolamento di cittadini italiani da parte di un paese terzo; il nostro codice penale vieta espressamente l’arruolamento o l’armamento non autorizzato al servizio di uno stato estero.
“Articolo 288 Codice Penale – Chiunque nel territorio dello Stato e senza approvazione del Governo arruola o arma cittadini, perché militino al servizio o a favore dello straniero, è punito con la reclusione da quattro a quindici anni. La pena è aumentata se fra gli arruolati sono militari in servizio, o persone tuttora soggette agli obblighi del servizio militare.”
Il bene tutelato dall’art. 288 c.p. è l’esclusività dello Stato di arruolare, nel proprio territorio, personale civile o militare; anche sulla base di tale premessa giuridica nel febbraio 2022 l’Ambasciata d’Ucraina in Roma ha specificato che la chiamata alle armi era destinata agli ucraini residenti in Italia.
Di portata maggiore è il contenuto dell’art. 244 c.p. il quale prevede: “Chiunque, senza l’approvazione del Governo, fa arruolamenti o compie altri atti ostili contro uno Stato estero, in modo da esporre lo Stato italiano al pericolo di una guerra, è punito con la reclusione da sei a diciotto anni; se la guerra avviene, è punito con l’ergastolo. Qualora gli atti ostili siano tali da turbare soltanto le relazioni con un Governo estero, ovvero da esporre lo Stato italiano o i suoi cittadini, ovunque residenti, al pericolo di rappresaglie o di ritorsioni, la pena è della reclusione da tre a dodici anni. Se segue la rottura delle relazioni diplomatiche, o se avvengono le rappresaglie o le ritorsioni, la pena è della reclusione da cinque a quindici anni.”
L’applicazione dell’articolo al caso di specie, ovvero all’arruolamento a favore di uno stato estero senza autorizzazione dello Stato, comporta l’applicazione di pene che variano a seconda se l’arruolamento è avvenuto in uno scenario bellico o meno, inoltre costituisce reato anche la mera opera di arruolamento.
Quanto detto finora riguarda principalmente il caso in cui il cittadino italiano serva a favore di uno stato estero venendo inquadrato nelle proprie forze armate, i c.d. foreign fighters , caso diverso è quello dei mercenari, ossia coloro che combattono esclusivamente per profitto personale, quindi dietro compenso e in totale assenza di qualsiasi aspetto di natura ideologica, politica o religiosa.
Sebbene la legge non demarchi chiaramente il confino tra i foreign fighters e i mercenari tuttavia sembrerebbe predominante l’aspetto economico su quello ideologico, ovvero il combattere per ricevere un compenso di natura economica configurerebbe violazione all’ art.3 della l. 210/95 il quale recita:
“1. Chiunque, avendo ricevuto un corrispettivo economico o altra utilità o avendone accettato la promessa, combatte in un conflitto armato nel territorio comunque controllato da uno Stato estero di cui non sia ne’ cittadino ne’ stabilmente residente, senza far parte delle forze armate di una delle Parti del conflitto o essere inviato in missione ufficiale quale appartenente alle forze armate di uno Stato estraneo al conflitto, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da due a sette anni.
2. Chiunque, avendo ricevuto un corrispettivo economico o avendone accettato la promessa, partecipa ad un’azione, preordinata e violenta, diretta a mutare l’ordine costituzionale o a violare l’integrità territoriale di uno Stato estero di cui non sia ne’ cittadino ne’ stabilmente residente, senza far parte delle forze armate dello Stato ove il fatto sia commesso ne’ essere stato inviato in missione speciale da altro Stato, è punito, per la sola partecipazione all’atto, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da tre a otto anni.”
Emerge come la legge riservi due trattamenti diversi per i foreign fighters e i mercenari, andando ad applicare delle sanzioni più significative ai primi, infatti si è visto come il servire militarmente a favore di uno stato estero possa comportare applicazione anche l’ergastolo, qualora la violazione si inserisca all’interno di uno scenario bellico, mentre per i mercenari, invece, si applichi una pena più mite, ovvero la reclusione dai 2 ai 7 anni. Tale differenza di trattamento è da ricondurre alla natura del reato ovvero la legge considera l’attività foreign fighters “dannosa” per i rapporti diplomatici tra lo Stato italiano e lo Stato contro il quale il foreign fighters combatte, di contro l’attività del mercenario viene considerata meno “dannosa” per i rapporti diplomatici tra stati in quanto frutto di una scelta esclusivamente economica compiuta in assenza si ogni finalità ideologica o politica.
Per concludere è necessario evidenziare che le norme sopra illustrate restano pressoché inapplicate e di conseguenza anche la giurisprudenza in materia è decisamente scarsa e si limita a poche pronuncie della Corte di Cassazione, la prima è datata 1939 ed è inerente alla guerra civile spagnola, mentre ulteriori due sentenze sono del 2003 e del 2009 e riguardano l’attività di arruolamento e reclutamento.
Di recente il Ministero degli Affari Esteri, in relazione al conflitto ucraino, con propria nota 24 marzo 2022 ha richiamato la rilevanza penale della partecipazione dei cittadini italiani al conflitto in corso: “In merito alle notizie apparse su alcuni organi di informazione relative alla partecipazione di cittadini italiani al conflitto in Ucraina, la Farnesina ricorda che tali condotte possono essere considerate penalmente rilevanti ai sensi della normativa vigente (artt. 244 e 288 del codice penale). La Farnesina ribadisce, a tutela della sicurezza dei cittadini italiani, l’assoluto sconsiglio a recarsi nel Paese.”
Simone Castronovo
24.04.2022