L’inizio del secondo mese della guerra russo-ucraina ci porta a dover fare un’analisi su quello che al riguardo è il sentimento comune in Italia, in modo da tentare un confronto con l’atteggiamento ed i provvedimenti del governo Draghi. Un sondaggio IPSOS del 15 marzo ha evidenziato con pochi margini di interpretazione un fatto importante: gli italiani sono contrari ad ogni coinvolgimento militare diretto nel conflitto (78%), mentre non si è espresso il 13% degli intervistati. La percentuale si abbassa notevolmente (36%) per chi è contrario anche ad un intervento indiretto, adducendo come motivazione il dovere di rispetto dell’articolo 11 della costituzione. Sull’intervento indiretto, che si traduce in quello che il governo italiano sta facendo sin dai primi giorni di guerra, ovvero l’invio di forniture militari all’Ucraina, c’è di fatto una sostanziale spaccatura nell’opinione pubblica italiana, visto che il 35% la ritiene necessaria/giusta, mentre un ragguardevole 29% non risponde.
Cosa ci dicono questi dati? Innanzi tutto che il governo attualmente in carica che – lo ricordiamo – è l’ennesimo di una lunga serie di esecutivi non scaturiti naturalmente dalle consultazioni elettorali, ma fortemente voluto da un presidente della repubblica in fase di chiusura di mandato e successivamente riconfermato, prende decisioni con un grado di aderenza ai desiderata popolari estremamente basso. Con un divario tra paese legale e paese reale cui fa da testimone una sempre maggiore sfiducia da parte degli italiani.
La diligenza operativa con la quale Mario Draghi ha velocemente anticipato tutti nel fare dell’Italia il primo paese europeo a fornire importanti aiuti militari all’Ucraina ha rotto uno schema abbastanza usuale per il nostro paese: su queste situazioni la prudenza è sempre stata appannaggio dei governi italiani che, di solito, un po’ per verificare le mosse altrui, un po’ per valutare le eventuali contromisure, hanno sempre ponderato bene le loro scelte. Invece in questa occasione tutto si è svolto con estrema rapidità. E questa rapidità è il fattore che non può non destare legittimi sospetti.
Come mai un paese come l’Italia, che la ben informata rivista Limes collocava tra i pochi stati della UE ufficialmente amici della Russia, diventa in un battibaleno capofila di una scelta così rimarchevole e difficilmente reversibile? Nel recente passato, non si ricorda un atteggiamento simile nemmeno nei confronti della Libia di Gheddafi, quando inglesi, francesi e statunitensi ne decretarono la fine. Bisogna tornare al 1999, con gli aerei italiani su Belgrado sotto l’egida della Nato, quando l’allora presidente del consiglio D’Alema dovette dimostrare il suo grado di fedeltà atlantica a chi aveva qualche dubbio in proposito. E tutti sanno come andò.
Se, dunque, per il Kosovo l’ex comunista D’Alema dovette dimostrare la sua fedeltà occidentale, per l’Ucraina Mario Draghi non ha certo bisogno di fare la stessa cosa, ma probabilmente ha dovuto sgombrare subito il campo da possibili retro pensieri che si sarebbero potuti generare al minimo tentennamento. Diciamo che non ha avuto troppe difficoltà ad assolvere il compito, vista la guerra offensiva di una Russia che si è messa ai margini rispetto alla stragrande maggioranza del consorzio internazionale.
Ciò nonostante restano dei nodi da sciogliere, per i quali non è dato sapere cosa intenderà fare Mario Draghi.
1) Sul fronte interno, seppur evidenziavamo una discrasia sempre più accentuata tra paese legale e paese reale, non si può tacere che il governo Draghi si regga su due pilastri (Lega e 5stelle), le cui basi elettorali denotano insofferenza verso il provvedimento antirusso. Cosa che prima o poi avrà un suo riscontro, se la crisi internazionale si sovrapporra’ alla campagna elettorale del 2023.
2) Sempre sul fronte interno si dovranno fare i conti con le conseguenze economiche del pesante sistema sanzionatorio allestito nei confronti della Russia. Su questo aspetto la linea negativa per l’Italia è duplice: da un lato c’è il blocco delle esportazioni per miliardi di euro di controvalore e dall’altro c’è il risvolto energetico sull’economia e sulla vita quotidiana dell’intero sistema Italia. E l’impegno del governo nel cercare fonti alternative di approvvigionamento non porterà a risultati tangibili se non nel medio periodo, ma a prezzi sicuramente più alti.
3) Sul fronte della politica estera si è detto che l’Italia ha irreversibilmente scelto di non essere più una nazione amica della Russia, venendo meno una volta di più negli ultimi tre decenni a quel suo storico e proficuo ruolo di ponte politico e geografico tra Est ed Ovest e legandosi in modo ancor più stretto alla logica unipolare d’oltreoceano.
4) In ambito UE, dopo la Brexit, la crisi in atto poteva essere una valida occasione per il governo Draghi, sorretto da una larghissima maggioranza, di ergersi su una posizione di autorevolezza e di tentare con Parigi e Berlino una mediazione politica e diplomatica di alto livello, che avrebbe sicuramente avuto degli effetti anche su Putin. Con possibilità di ritorni favorevoli ad ampio spettro.
Nulla di tutto questo è accaduto. L’Italia ha assunto una posizione di intransigenza che non rispecchia la volontà del paese reale e che ci relega in un vicolo chiuso dal quale non sarà facile uscire. Perché se è vero che Draghi ha scelto di rimanere nel solco delle scelte politicamente corrette, è anche vero che ha messo l’Italia nella posizione di nemico della Russia. Ed ha contribuito in modo decisivo alla creazione di un fronte – quello della UE – che ha preferito lo schieramento aperto (sotto il cappello Nato) in luogo di un più appropriato, profittevole e logico tavolo di confronto. Insomma, l’ennesima occasione perduta per l’Europa che, diversamente, avrebbe assunto un ruolo degno della sua rilevanza politica ed economica. Tanto più che questa volta giocava sul campo di casa.
Fernando Volpi
29.03.2022