Mer. Nov 20th, 2024

Fernando Volpi

 

Fatti ed antefatti

La guerra in piena Europa, con uno dei contendenti primaria potenza militare planetaria, non è cosa da poco. È uno di quegli eventi che meritano attenzioni e valutazioni, non di pancia ma di testa. Proviamo allora a fare un’analisi più completa possibile di antefatti, fatti e possibili scenari. Ma nel farlo è d’obbligo spogliarsi di quel costume tipicamente italico che fa di molti (troppi) dei semplici tifosi da stadio, piuttosto che degli analisti (seppur non necessariamente professionisti). Certamente, “tifare” per Zelensky piuttosto che per Putin, sulla scorta dell’opera capillare della disinformarcija in servizio permanente è molto più semplice che studiare su testi o riviste specializzate le ragioni dello stato attuale delle cose. La semplificazione e a volte la banalizzazione degli eventi, offerte a buon mercato da un sistema mediatico poco preparato, permettono a tutti di farsi un’idea e di dire la propria, ma il più delle volte concorrono alla creazione di un fronte di tifoseria da stadio, molto spesso privo di una logica.

Partiamo dunque dagli antefatti.

Senza dover retrocedere di secoli nella storia profonda di uno dei posti più caldi ed “intestinali” dell’Europa, va ricordato che in quelle aree si lottava per avere sbocco al bacino del Mediterraneo ben prima che nel vecchio continente arrivassero con il loro peso economico e militare i cinesi e gli statunitensi. A fare una guerra in Crimea ci andarono addirittura i bersaglieri dello stato sabaudo pre-unitario, come parte di un’alleanza anti russa e filo turca, che avrebbe permesso a Cavour di ottenere in cambio la condiscendenza e l’aiuto francese nella complessa architettura diplomatica che portò alla creazione del Regno d’Italia[1].

In tempi a noi più vicini, la medesima area è stata una delle tante zone di frizione e di attrito anche nel corso della Grande Guerra. Più o meno per le medesime ragioni, ovvero la necessità di uno sbocco verso il Mediterraneo in una fase in cui si stava aprendo uno spazio da colmare per l’imminente implosione dell’impero Ottomano. Senza mai dover dimenticare che tutta l’area, che dalle coste settentrionali del Mar Nero si spinge verso l’interno fino a Kiev, è considerata dalle élite decisionali russe, prima zariste, poi sovietiche e infine post-sovietiche (dunque non solo da Putin), uno degli alvei della storia profonda russa. Diamo solo alcuni numeri sui tanti che potrebbero essere forniti: nella guerra di Crimea, per difendere le aree oggi all’ordine del giorno, tra il 1853 ed il 1855 morirono 270 mila russi, più del doppio dei loro avversari messi assieme.

Nel secondo conflitto mondiale, per evitare che tedeschi ed italiani riuscissero a posizionarsi stabilmente lungo il Mar Nero e potessero tenere saldamente l’area strategica del Caucaso con le sue risorse petrolifere, L’URSS gettò sul fronte del Don una quantità tale di uomini, di cui ancor oggi non si conosce l’esatto numero degli effettivi e delle perdite. In quel frangente – non si dimentichi – dalla parte dei tedeschi e degli italiani combatteva un numero non trascurabile di russi e ucraini fortemente antisovietici, a testimonianza del fatto che quelle aree del continente europeo sono da tempo immemore sicuri come i barili di benzina vicino al fuoco. La veloce carrellata sugli antefatti storici dell’attuale crisi non può non terminare con le vicende connesse al crollo del muro di Berlino ed alla dissoluzione DELL’URSS.

Si tratta di storia recente, abbastanza nota ed abbondantemente analizzata, al punto che chiunque, senza troppa fatica, avrebbe potuto farsene un’idea sufficientemente chiara. È noto che l’ultimo grande capo russo dell’epoca sovietica – lo stesso che oggi molto improvvidamente invoca l’occidente affinché fermi il “pazzo” Putin – fu colui che per 5 miliardi di marchi cedette la Germania dell’Est per la sua riunificazione alla parte Ovest e che diede il via alla caduta negli inferi del totale disfacimento ad una nazione che in quel momento aveva per le mani qualcosa come 10 mila testate nucleari[2].

Immediatamente dopo quel collasso iniziò la corsa della NATO a piantare bandierine con la rosa dei venti tutto attorno ai nuovi, poco stabili ed incerti confini delle neonate repubbliche orientali d’Europa e dei vecchi clienti sovietici. Al contrario di quel che si fa per un grande invaso idrico, dove gli ingegneri idraulici immettono acqua per gradi al fine di testarne la stabilità, per la ex diga di influenza sovietica fu compiuta una corsa rapidissima per piantare le bandiere di quella NATO, che è oggi la più grande e potente alleanza militare che la storia umana abbia mai conosciuto. Con risultati che in termini di stabilità geopolitica sono oggi sotto gli occhi di tutti.

In un momento in cui veniva meno l’antagonista militare sovietico, che si disfaceva come neve al sole, la controparte non smobilitava (nemmeno parzialmente) come sarebbe stato logico fare allorché un conflitto volge al termine. Al contrario, aumentava i suoi impegni anche nei paesi storicamente legati all’alleanza (vedi Muos in Italia, vedi l’imponente centro radar in Romania e vedi sempre maggiori richieste di partecipazione finanziaria da parte USA agli aderenti alla NATO) e costruiva basi nei territori dei nuovi clienti. Il tutto senza che ve ne fosse una ragione plausibile, se non vacue motivazioni di sicurezza globale legate al terrorismo internazionale. Terrorismo internazionale – per inciso – fortemente combattuto proprio dalla Russia di Putin nelle sue roccaforti di elezione quali la Cecenia e la stessa Siria.

Abbiamo fin qui ripercorso i principali antefatti dell’attuale crisi russo-ucraina, imprescindibili per qualsiasi analisi non schierata. Ad essi, come inevitabile portato, va aggiunto un retroterra ben noto agli analisti: l’antagonismo (non sarebbe esagerato parlare di odio e disprezzo) esistente da tempo immemore tra molte delle etnie slave. Un antagonismo cui – va riconosciuto – il panslavismo nazionalista della Russia zarista prima e il burocratismo sovietico poi hanno contribuito moltissimo, generando solchi profondissimi tra ucraini e russi, come del resto tra polacchi e russi e tra baltici e russi.

Questi sentimenti non sono affatto da trascurare in chiave di lettura geopolitica e di ricostruzione storica, giacché una corretta ed equanime valutazione non può prescindere da quelli che furono e sono gli stati d’animo, i trascorsi generazionali, le radici, in una parola la storia profonda ed il vissuto di popoli perennemente in bilico tra Est ed Ovest, tra aperture liberali (ben poche) e scelte autocratiche[3].

Inquadrato dunque il contesto, proviamo ad analizzare i fatti delle ultime settimane, utilizzando gli strumenti di comprensione che abbiamo ricordato. Ma prima di farlo sciogliamo subito un nodo: la scelta operata da Putin, pur se non folle come vorrebbe la narrazione instillata all’uomo della strada, è comunque estrema e di certo non più rispondente ai criteri di risoluzione delle controversie che l’opinione pubblica occidentale ed europea è disposta a tollerare. Anche per chi si trova su posizioni di condiscendenza verso l’operato dell’uomo forte del Cremlino, non è facile accettare che le crisi vengano risolte a suon di cannonate o con bombardamenti aerei sulle città.

Purtroppo però una guerra, seppur oggi definibile a bassa intensità secondo i canoni degli esperti di dottrine militari, nelle zone del Donbass e della Crimea c’è dal 2014. C’è da quando il governo Janukovyc fu esautorato a seguito della rivolta di piazza Maidan, nella quale – è cosa ormai nota -intervenne l’opera di intelligenze esterne ostili alla Russia. Si sta parlando di una guerra che fino a qualche giorno fa nessuno ricordava, ma che in meno di otto anni ha provocato svariate migliaia di morti (si parla di oltre ventimila) e nella quale la mano del governo ucraino – questa volta in veste di aggressore – è stata colpevolmente determinante. Ecco dunque, che senza andare molto indietro nel tempo, con uno sforzo di memoria non troppo difficoltoso, si dovrebbe ricordare che le popolazioni russofone del Donbass e della Crimea hanno subito negli ultimi anni gli effetti di una vera e propria guerra civile, senza che dei loro diritti l’opinione pubblica e gli organismi internazionali si siano preoccupati con iniziative umanitarie o diplomatiche. Eppure si tratta di una minoranza (ma solida maggioranza in quei territori) all’interno di una nazione, l’Ucraina, che chiede da tempo l’ingresso nella UE e nella NATO. La qual cosa implicherebbe l’accettazione ed il rispetto delle minoranze etniche e linguistiche, come accadde ad esempio in Italia, dove, tanto per citare un esempio calzante, il dissenso sudtirolese degli anni ’60 non fu mai affrontato bombardando Bolzano o la Valle dell’Isarco.

Ma riportiamoci a quel contesto e nel farlo dobbiamo riuscire a compiere un esercizio mentale invero molto ostico per un italiano ed in genere per qualsiasi occidentale. Lo sforzo che andrebbe fatto è questo: accantonare l’idea che il vertice di una potenza come la Russia – non solo Putin ma tutta la classe dirigente di quel paese – possa accettare che la propria nazione venga accerchiata strategicamente da ogni lato da parte di un’alleanza militare ad essa ostile.

Continuando invece a ragionare come “tifosi” si possono riconoscere le sole ragioni di una parte, perdendo inevitabilmente di vista il quadro d’insieme.

E allora per rendere meglio comprensibile la situazione basterebbe proporre, ribaltandolo, lo scenario dei missili sovietici a Cuba nell’autunno del 1962. In quell’occasione il rischio di una escalation fu reale proprio perché l’allora presidente USA Kennedy mantenne saldamente un atteggiamento da capo di una grande potenza, né più e né meno lo stesso che oggi vediamo fare a Putin. Eppure la narrazione storica concordemente accettata ci dipinge Kennedy come il coraggioso uomo di stato che seppe salvare il suo paese ed il mondo occidentale dell’espansionismo sovietico, laddove, al contrario, Putin viene identificato come il signore della guerra disposto a calpestare il vicino senza troppi complimenti.

E nel farlo si disconosce un aspetto importante: se quei missili puntati contro gli USA rappresentavano allora un pericolo inaccettabile per Washington, non si capisce perché non dovrebbero essere la stessa cosa, oggi, per Mosca, quelli che dalla Polonia o dall’Ucraina sono e saranno puntati verso la Russia. Nel disconoscere queste situazioni si commette dunque l’errore di sottovalutare le ragioni di entrambe le parti, cosa non proprio commendevole quando una di esse è una potenza planetaria con ingenti risorse naturali a disposizione ed un apparato bellico che nessun responsabile capo di stato può permettersi il lusso di sottovalutare.

Gli scenari che si aprono

In questa situazione gli scenari che si aprono sono svariati e riguardano inevitabilmente una molteplicità di attori. Partiamo dalla UE. Le scelte fatte ad oggi dalla UE denotano una scarsa lungimiranza geopolitica e diplomatica, che non può non preoccupare i singoli stati e le opinioni pubbliche che ne sono parte, i quali dovrebbero prendere atto di quanto andiamo ad elencare, cercando di porre rimedio ad una insipienza strategica che non può essere nelle corde di un organismo politico ed economico composto di 27 nazioni, quasi 450 milioni di abitanti, con un PIL annuo di oltre 16 mila miliardi di euro[4].

1) Dal 2014 ad oggi la UE nulla ha fatto per porsi come avrebbe dovuto (si combatte in piena Europa) nella veste di mediatore tra le due posizioni in aperto conflitto. Ciò a maggior ragione se si considera che l’Ucraina è in pectore un potenziale futuro membro della stessa UE.

2) Data l’ubicazione geografica della crisi, non si vede chi altro, se non la UE, avrebbe dovuto esercitare il ruolo di attore protagonista di un negoziato, dimostrando una volta tanto di avere una propria politica estera autonoma e, per quanto possibile, svincolata dalle decisioni di altri livelli.

3) La scelta della UE di schierarsi apertamente con uno dei due contendenti e di farlo nel peggiore dei modi, ovvero prestandosi a fornire aiuti militari all’Ucraina, l’ha messa nella posizione di divenire automaticamente nemica della Russia[5], con conseguenze economiche non indifferenti quando, rientrata la crisi, i paesi della UE più vicini a Mosca dovranno tornare a contrattare le forniture di gas naturale.

Veniamo dunque agli scenari geoeconomici che si possono aprire.

1) Congelamento sine die dei rapporti tra i principali partners economici occidentali (Germania, Italia e Francia) e la Russia, con conseguenze pesanti in termini di esportazione manifatturiera e di approvvigionamento energetico ed inevitabili ripercussioni a caduta su economie notoriamente energivore, tra l’altro fortemente indebolite da crisi strutturali (Italia) e dall’evento pandemico del Covid 19. A questo proposito, il fatto stesso che all’inizio della crisi la Germania abbia bloccato il gasdotto North Stream 2 e che da parte dei potenziali beneficiari di quella infrastruttura non ne sia uscita la benché minima rimostranza, denuncia una cortissima visione strategica, comprensibile in epoca di rigido bipolarismo ma del tutto ingiustificabile in pieno XXI secolo.

2) Spostamento verso est del baricentro geoeconomico del grande blocco eurasiatico, con il rischio estremamente concreto di una organica saldatura sino-russa, con possibile estensione al subcontinente indiano. Questa prospettiva, le cui avvisaglie sono da tempo evidenti e di cui se ne ha già conto nel momento in cui scriviamo queste note[6], non farà altro che allontanare l’Europa dai nodi energetici per essa più convenienti, obbligandola a rivolgersi verso ovest (Stati Uniti).

3) Conseguenza di quanto si è sopra ricordato sarà nel lungo periodo un impoverimento generale di tutta l’area euro, con ricadute sulla stabilità politica interna della UE ed una possibile implosione (se non formale quanto meno fattuale) del suo sistema di cooperazione e coesione territoriale.

Dopo la UE, l’altro grande attore interessato da vicino all’evoluzione della crisi russo-ucraina è senza dubbio la NATO. Non crediamo di commettere un errore di valutazione se si afferma che buona parte delle ragioni che hanno portato ad un inasprimento della crisi sono riconducibili al ruolo che l’Alleanza Atlantica ha avuto nel corso degli ultimi anni sullo scenario Est europeo e balcanico, lungo l’asse del Trimarium. Dall’azione geopolitica e geostrategica NATO sono emerse ed emergeranno conseguenze, che si possono riassumere nei seguenti punti.

1) Nascita di un ampio ventaglio di aspettative militari ed economiche da parte di stati come Ucraina, Moldavia, Armenia, Azerbaijan e Finlandia, attratti dalla possibilità di lucrare ingenti vantaggi dalla loro posizione geografica in funzione di quella strategia della NATO tesa a privilegiare l’azione talassocratica del suo principale membro, azione che si sostanzierebbe in un accerchiamento costiero della Russia (ad est con il Giappone sebbene non ufficialmente aderente all’Alleanza Atlantica).

2) Fusione degli interessi strategico-militari tra Russia e Cina (opzione da scongiurare per il blocco NATO/USA).

3) Sempre maggiore attenzione verso est da parte della Russia, con possibilità di frizioni con la Cina (opzione auspicabile per il blocco NATO/USA).

4) Nascita nel lungo periodo di un nuovo sistema bipolare connotato da divergenze geoeconomiche più che ideologiche, quindi più “liquido” ed instabile di quello che abbiamo conosciuto dal 1945 al 1989.

Il ruolo dell’Italia

Riserviamo un’ultima analisi al ruolo che nella crisi russo-ucraina ha avuto e sta avendo l’Italia. Essa è giocoforza costretta a calare definitivamente la maschera sulla sua marginalità politica e diplomatica, che contrasta sempre di più con la centralità strategica del bacino mediterraneo nel quale è praticamente immersa. Se fino a poche settimane fa l’Italia era da annoverare tra le poche nazioni (a parte Grecia e Cipro) della UE ad essere considerate amiche della Russia[7], con la crisi in corso essa ha operato un ribaltamento subitaneo e repentino che, altresì, non si è visto fare da parte di Germania e Francia, notoriamente molto più tiepide verso Putin. Ciò nonostante due dei primi tre partiti italiani, pur nell’ambiguità di fondo che connota la loro visione della politica estera, non abbiano mai nascosto le loro simpatie per il presidente della Russia. C’è da dire che in Italia gioca un ruolo di peso anche il Vaticano e l’opinione pubblica cattolica, che troppo spesso si muove solo per condannare l’effetto ultimo di un evento, ovvero quello maggiormente dirompente ed eclatante.

Nella non improbabile marginalizzazione futura dell’Europa Centro Occidentale, dove sventolerà sempre di più la bandiera dell’alleanza militare (NATO) piuttosto che quella della coesione e dell’autonomia politica (UE), l’Italia, con la linea che al momento in cui scriviamo pare aver assunto il governo Draghi, sembra destinata a rivestire quel ruolo di ultras continentale dell’Alleanza Atlantica, fino a ieri detenuta dalla Gran Bretagna. Con ricadute economiche pesantemente negative su due diversi canali: quello che condurrà alla crescita dei costi per l’approvvigionamento energetico e quello che porterà ad un brusco calo delle esportazioni per molti comparti della sua industria. Tutto questo non farà altro che saldarsi negativamente con una condizione già pesantemente compromessa da deficit strutturali atavici e dalla recente crisi innescata dalla pandemia.

 

09.03.2022

 

Note:

[1] Per un approfondimento, soprattutto in chiave militare, del ruolo avuto dal Regno di Sardegna nel conflitto di Crimea del 1853-1856, si segnala P. Pieri; Storia militare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni; Einaudi; Torino; 1962.

[2] Trimarium tra Russia e Germania; Limes 12/2017; Editoriale: Meglio un muro di una guerra; p.10

[3] Trimarium tra Russia e Germania; Limes 12/2017; Editoriale: Meglio un muro di una guerra, pp.29-39

[4] Dato Eurostat per l’anno 2019

[5] https://quifinanza.it/editoriali/video/russia-lista-paesi-ostili-italia-elenco/608482/

[6] https://24plus.ilsole24ore.com/art/gas-e-petrolio-fine-ci-guadagnera-solo-cina-comprera-prezzi-favore

[7] Trimarium tra Russia e Germania; Limes 12/2017; Editoriale: Meglio un muro di una guerra, pp.29-39, pp.31-32