Lun. Set 16th, 2024

Simone Castronovo

 

L’Edictum Theodorici Regis, ovvero l’Editto di Teodorico, ha costituito e costituisce il massimo esempio di legislazione ostrogota in nostro possesso sebbene molti studiosi ne abbiano contestato la paternità al re ostrogoto, mentre altri ne hanno addirittura messo in dubbio la sua originalità.

Lo scopo che ci si propone in questo articolo è quello di analizzare se tale testo giuridico possa da solo sostenere l’ipotesi che vede in Teodorico un continuatore della tradizione romana, almeno dal punto di vista giuridico.

Prima di entrare nel vivo dell’analisi del testo giuridico ritenuto promulgato da Teodorico, è necessario ripercorrere brevemente la storia degli Ostrogoti.

Gli ostrogoti sono stati un popolo germanico il cui nome significa Goti dell’est, nessun autore antico, tuttavia, tratta in maniera specifica le origini di questo popolo; anzi i riferimenti ai Goti sono sempre generici, come si evince da Plinio il Vecchio il quale scrive[1]:

si coniectare permittitur, haut multum ora deerit Graecorum opinioni et longitudini ab Agrippa proditae. Germanorum genera quinque: Vandili, quorum pars Burgodiones, Varinnae, Charini, Gutones. alterum genus Inguaeones, quorum pars Cimbri, Teutoni ac Chaucorum gentes.”

Anche Tacito si limita a citare tale popolo in forma generica e limitatamente alla loro forma di governo:

Trans Lygios Gotones regnantur, paulo iam adductius quam ceterae Germanorum gentes, nondum tamen supra libertatem.”

Come abbiamo visto, le fonti non forniscono alcun dato certo sull’origine di tale popolo, tuttavia è verosimile la tesi che riconduce la loro origine alla stirpe germanica orientale, tenendo in considerazione la loro collocazione geografica storica, cioè a sud tra i Vandali e i Lugi e ad ovest, lungo il Baltico, tra i Rugi e i Lemovi[2].

Anche le evidenze archeologiche confermano la presenza dei Goti nella parte polacca della regione della Pomerania; a questo popolo è riconducibile la c.d. Cultura di Wielbark, la quale è attestata da circa 300 tombe, sia ad inumazione che ad incinerazione. Successivamente, nel I sec. d.C., sono attestate anche le deposizioni a circolo riconducibili alla c.d. cultura di Odry-Wesiory-Grzybnca.

Relativamente alla scrittura, i Goti hanno utilizzato, a partire dalla seconda metà del 300 d.C, un alfabeto composto prevalentemente da lettere greche introdotto dal vescovo Ulfila, il quale cristianizzò questo popolo durante il loro stanziamento nella regione storica della Bessarabia, ricadente nell’odierna Moldavia.

Questi sono solo alcuni dei fatti che hanno interessato la popolazione gota, tuttavia, ci restituiscono il quadro di una realtà dove i Goti hanno avuto numerosissimi contatti con le popolazioni stanziate nei territori dell’impero Romano; inoltre altro avvenimento che sarà propedeutico alla formazione del pensiero di Teodorico, furono i conflitti tra Goti e Unni e la successiva sottomissione a questi, avvenuta nel 375. Tale data è importante poiché le fonti riportano per la prima volta il termine Ostrogoti[3]; gli Ostrogoti parteciparono in supporto dei loro dominatori alla spedizione in Gallia del 451 guidata dal re Attila, e nello stesso anno finisce la dominazione da parte degli Unni[4].

Con la fine della dominazione unna gli Ostrogoti sono attestati, nel 451, in Pannonia riuniti in una confederazione di popoli con a capo la famiglia degli Amali. Nel 473, a seguito di alcuni conflitti sorti all’interno della comunità si crearono due gruppi, da una parte i Visigoti e dall’altra gli Ostrogoti, questi ultimi, superiori numericamente, con a capo Teodemiro, padre di Teodorico.

Teodorico nasce nel 452 in Pannonia e venne inviato nel 462 a Costantinopoli come ostaggio al fine di suggellare il trattato di pace tra gli Ostrogoti e Bisanzio[5], in tale occasione Teodorico viene introdotto alla cultura latina e greca, sebbene l’Anonimo Valesiano ne restituisca l’immagine di una persona con serie limitazioni nel campo della scrittura e della lettura, nel 469 l’imperatore Leone I, a seguito del ritiro delle armate imperiali in Pannonia, liberò Teodorico che ritornò tra le sue genti.

Nel 474 muore il re Teodemiro e gli succede il figlio, Teodorico diventando il re degli Ostrogoti. I primi anni del regno di Teodorico sono caratterizzati dalla partecipazione, a fianco dell’imperatore Zenone, alle campagne imperiali, partecipazione che portò alla concessione a favore di Teodorico del titolo di patrizio. Sebbene i rapporti tra Bisanzio e gli Ostrogoti erano caratterizzati da una forte instabilità, nel 488 l’imperatore Zenone incaricò Teodorico di recarsi in Italia per cacciare Odoacre.

Odoacre, re degli Euruli, popolazione anch’essa germanica, nel 475 depone l’imperatore romano d’occidente Romolo Augustolo e assume il titolo di magister militum conferito dall’imperatore Zenone, il quale tuttavia non gli attribuì mai formalmente il titolo di patrizio, in quanto l’imperium su quello che rimaneva dell’Impero Romano d’Occidente, sarebbe spettato a Giulio Nepote; su questo punto lo stesso Zenone invitò Odoacre a riaccogliere il Nepote[6], cosa che non è mai avvenuta. Tuttavia dopo una prima fase nella quale Bisanzio vedeva in Odoacre un prezioso alleato ne è seguita una seconda, nella quale lo stesso Odoacre veniva percepito come una minaccia e da qui la necessità di porre fine al suo “regno”.

In merito alla discesa degli Ostrogoti in Italia, recentemente le teorie classiche sono state integrate da importanti dati scientifici forniti dall’archeologia[7]; in seguito a queste scoperte si è giunti ad una sostanziale convergenza da parte dei massimi studiosi della materia, che concordano sul fatto che le truppe di Teodorico del 489 fossero composte da uomini armati, tuttavia in qualche caso divergono, come per esempio per la teoria di Peter Heather, il quale ritiene che al seguito dell’esercito vi fossero anche le relative famiglie.

Secondo Heater, dunque, i soldati erano accompagnati dalle famiglie, mentre per esempio secondo Patrick Amory l’elemento famigliare era totalmente assente.

Amory sostiene che l’ipotesi di un esercito “accompagnato” dalle famiglie si basi in gran parte dai reperti archeologici trovati nelle sepolture, i quali sono considerati, dallo stesso autore, un obsoleto retaggio della cultura antecedente la seconda guerra mondiale[8].

Senza entrare nel merito del dibattito storico, è sicuramente rilevante vedere come le due ipotesi possano comportare due eventuali diversi gradi di integrazione con le popolazioni romane d’Italia. Nella prima ipotesi, quella di Heater, il gruppo guerriero Ostrogoto avrebbe costituito una sorta di élite germanica all’interno della preesistente società romana, mentre nell’ipotesi di Amory l’elemento Ostrogoto si sarebbe rapidamente dissolto in quello italico.

Dal punto di vista giuridico, riferendoci ai contenuti dell’Editto di Teodorico, questi sembrerebbero avvalorare la tesi di Amory, in quanto è predominante l’elemento romano rispetto a quello germanico, offrendo così sostegno all’ipotesi del “dissolvimento” dell’elemento germanico a vantaggio di quello locale. Nel 493, dopo anni di conflitti Tedorico successe ad Odoacre dopo la morte di quest’ultimo, in questo scenario si inserisce la produzione legislativa di Teodorico, nello specifico la presunta promulgazione dell’Editto.

La datazione di tale testo non trova una data attestata nelle fonti, pertanto tutte le datazioni proposte sono frutto di differenti, e spesso discordanti, ricostruzioni filologiche.

E’ necessario partire dal fatto che conosciamo il testo dell’Editto esclusivamente grazie ad un’edizione risalente al 1579, a cura di Pierre Pithou, la quale è mancante della data di sottoscrizione, pertanto attraverso alcune deduzioni elaborate sulla base delle fonti hanno portato gli esperti a formulare l’ipotesi che l’Editto avrebbe dovuto essere stato redatto a partire dal 500, anno in cui Teodorico si trovava in Roma[9].

La fonte più antica, presa in esame, è il Chronicon Paschale del 630 nel quale viene riportato che Teodorico, durante il suo soggiorno a Roma <<εποίησε διάταξιν περί εκάστου νόμου>>, e colloca il fatto al 485. Su tale questione sono intervenuti due studiosi, Felix Dahn e Augusto Gaudenzi i quali vedono nell’espressione <<διάταξις περί εκάστου νόμου>>, non il riferimento all’Editto ma bensì alla promissio che Teodorico fece al popolo romano citata dall’Anonimo Valesiano[10]:

<<se omnia, deo iuvante, quod retro principes Romani ordinaverunt inviolabiliter servaturum promittit.>>.

Tale promessa venne fatta incidere in una tavoletta di bronzo e fatta esporre come da tradizione romana, tuttavia è sconosciuto il luogo di affissione, si pensa che potesse essere stato affisso in uno dei seguenti luoghi: nella basilica traianea, nella curia o nell’atrio della basica di San Pietro. Dalle fonti sappiamo, tuttavia, che i benefici teodericiani saranno ancora ricordati da Teodato, nelle lettere al senato e al popolo romano, e poi da Vitige e da Totila, infine anche l’imperatore Giustiniano li citerà nella Sanctio Prammatica[11]. Alla luce di tali considerazioni se ne deduce che né Chronicon Paschale, né l’Anonimo Valesiano possono contribuire a fornire una datazione certa dell’Editto.

Alcuni studiosi reputano che l’Editto sia posteriore al 506 in quanto si è fatto ricorso, per la redazione dell’Editto stesso, all’Interpretatio della Lex Romana Visigothorum, tuttavia questa collocazione temporale fu presto abbandonata in quanto Interpretatio sarebbe anteriore alla Lex Romana Visigothorum e di conseguenza questa non costituirebbe un terminus post quem. In conclusione non vi sono dati certi per poter datare la promulgazione dell’Editto, pertanto esso viene inserito all’interno del regno di Teodorico nel periodo compreso tra il 493 e il 526.

Relativamente ai contenuti nell’Editto esso si compone di un prologo e di un epilogo, mentre gli articoli, 154 sono racchiusi in 6 gruppi[12]:

I – Diritto giudiziario

II – Reati contro la pace pubblica

III – Reati contro la proprietà

IV – Reati contro le donne e l’onore domestico

V – Disposizioni sul testamento e la donazione

VI – Norme diverse

Tale classificazione tuttavia non è sistematica in quanto le disposizioni sono confuse insieme. Lo stesso Trombetti sostiene che tale disordine sia attribuibile al fatto che l’Editto sia una raccolta di provvedimenti presi d’urgenza, questo lo si deduce da due fattori, il primo è lo stesso disordine, mentre il secondo è legato al fatto che Teodorico era circondato dai maggiori giuristi romani dell’epoca come Cassiodoro, Boezio e Simmaco i quali erano profondi conoscitori sia del diritto, che delle modalità di redazione delle norme giuridiche. Aderendo alla tesi del Trombetti troverebbe conferma l’ipotesi che non sia individuabile una data di promulgazione dell’Editto in quanto questo testo giuridico si sarebbe formato nel corso dell’intero regno di Teodorico.

Sempre sulla base della tesi del Trombetti emergerebbe un ulteriore elemento a supporto della tesi di Amory, ovvero, che l’elemento Ostrogoto si sarebbe diluito all’interno della cultura romana, e questo sarebbe confermato dal fatto che la legislazione di Teodorico sia stata formata nel corso del suo regno, e in un lasso di tempo esteso, nonché dalla quasi totale assenza dell’elemento giuridico germanico a favore di quello romano. A questa interpretazione si contrappone la tesi del Tiraboschi, il quale sostiene che fosse concesso ai Goti il ricorso al loro diritto consuetudinario nella sfera privata; tuttavia tale tesi non trova alcun riscontro nelle fonti giuridiche o letterarie.

Un sostegno dell’ipotesi che l’Editto fosse rivolto sia agli Ostrogoti che ai Romani emerge dal prologo il quale recita:

<< Querelae ad nos plurimae pervenerunt, intra provincias nonnullos legum praecepta calcare. Et quamvis nullum iniuste factum possit sub legum auctoritate defendere : nos tamen cogitantes generalitatis quietem et ante oculos habentes illa, quae possunt saepe contingere, pro huiusmodi casibus terminandis praesentia iussimus edicta pendere : ut salva iuris publici reverentia et legibus omnibus cunctorum devotione servandis, quae barbari Romanique sequi debeant super expressis articulis, edictis praesentibus evidenter cognoscant.>>

Come si evince dal testo <<quae barbari Romanique sequi debeant super expressis articulis, edictis praesentibus evidenter cognoscant.>>, ovvero, “i Barbari e i Romani conoscano chiaramente dai presenti articoli, quali regole debbano seguire nelle espresse disposizioni seguenti”[13], quindi la legge era rivolta ad i membri delle due comunità.

In merito ai contenuti l’Editto, esso non contiene particolari elementi innovativi rispetto alla legislazione romana, se non appunto il fatto di essere destinato sia ai Barbari che ai Romani, infatti esso riprende quanto era già stato codificato nei codici Gregoriano, Ermogeniano e Teodosiano nonché dalle Pauli Sententiae.

 

In conclusione si può affermare che vi sono numerosi elementi a supporto della tesi per la quale il regno di Teodorico rappresenti un elemento di continuità con il mondo romano, almeno dal punto di vista giuridico, tuttavia come abbiamo visto, è doveroso prendere in considerazione alcune variabili quali:

1) Il testo giunto fino a noi viene pubblicato per la prima volta nel 1579 ed i manoscritti originali sono andati perduti; questo è uno dei principali elementi che ha portato alcuni studiosi a dubitare sull’originalità del testo. Il testo fu pubblicato da Pierre Pithou che era un giurista e storico del XVI secolo. Questi pubblicò Salviano, Quintiliano, Petronio, Fedro, Paolo Diacono, Ottone di Frisinga nonché il Corpus iuris canonici, egli era uno dei maggiori esponenti dell’umanesimo giuridico il quale si proponeva, anche, di storicizzare e relativizzare il diritto romano attraverso l’analisi filologica; relativamente all’Editto, il Pithou sostiene che esso fosse conservato all’interno di una miscellanea di testi tardoantichi; la perdita degli originali avvenne in circostanze ignote e tale fatto alimentò anche l’ipotesi che l’Editto fosse un falso storico realizzato dallo stesso Pithou o che tale scritto non fosse attribuibile a Teodorico; tali dubbi furono espressi sia dal Rasi[14] che dal Vismara[15].

2)Nelle fonti non vi è alcun specifico riferimento all’Editto; questo aspetto contribuisce a gettare ulteriore discredito alla tesi che l’Editto sia attribuibile a Teodorico, infatti oltre che non essere citato dalle fonti tardoantiche o medioevali sorprende il silenzio di Giustiniano[16].

3)L’Editto costituisce un unicum nel panorama della legislazione romano-barbarica, dove l’elemento giuridico germanico scompare quasi totalmente a favore di una legislazione di stampo romano, ma non solo, esso è rivolto sia ai Barbari che ai Romani.

Sulla base delle sopra esposte considerazioni si potrà sicuramente parlare di una continuità laddove si accettasse il fatto che l’Editto sia attribuibile a Teodorico, e tale continuità sarebbe non solo di natura giuridica ma comprenderebbe tutti gli aspetti culturali del Regno Ostrogoto, infatti è innegabile che quanto pervenuto a noi dell’arte e dell’architettura ostrogota sia in perfetta continuità con l’edilizia e l’arte romana tardoantica.

Ulteriore elemento di supporto di una teoria della continuità è quanto supposto da Amory, cioè che la permeazione ostrogota in Italia fosse esclusivamente circoscritta al contingente militare, il quale si sarebbe mosso senza alcun seguito di famigliari per poi diluirsi nella comunità locale; tale teoria, come abbiamo avuto modo di analizzare, presuppone che non vi sarebbero state due comunità separate ma bensì queste vivessero in un unico contesto; in questa prospettiva i “conquistatori” sarebbero visti come liberatori inviati dall’imperatore d’Oriente al fine di porre fine al regime di Odoacre.

Di contro non possiamo negare che vi siano numerosi elementi che rendono tale ipotesi poco credibile, in primis, il fatto che negli altri regni romano barbarici troviamo testi normativi riconducibili al diritto romano ma “affiancati” a testi prettamente barbarici come nel caso dei Visigoti, i quali applicavano sia la Lex Romana Visigothorum, che il Codex euricianus, un testo interamente riconducibile al diritto germanico che raccoglieva le leggi dei Visigoti, oppure come nel caso dei Burgundi dove insieme alla Lex Romana Burgundionum viene applicata la Lex Gundobada. I casi dei Visigoti e dei Burgundi ci presentano due situazioni coeve a quella dell’Editto di Teodorico, dove troviamo popolazioni con profonde affinità culturali con gli Ostrogoti ma che contrappongono il diritto romano a quello germanico, arrivando, come nel caso conclamato dei Burgundi, ad applicare il cd. principio della personalità del diritto, quindi quel principio che prevede l’applicazione del diritto a seconda del popolo al quale si appartiene.

Oltre che l’aspetto giuridico esisteva una netta separazione tra la comunità germanica e quella romana, separazione che ritroveremo anche successivamente con i Longobardi. In questo scenario appare poco probabile che gli Ostrogoti avessero diluito la loro cultura in quella romana, rinunciando in toto alle loro radici germaniche.

Sicuramente la risposta al quesito sulla piena continuità, in campo giuridico, tra l’Impero Romano e il Regno Ostrogoto potrà trovare conferma solo nell’ipotetico rinvenimento di nuove fonti che possano aiutare concretamente alla collocazione temporale dell’Editto nonché alla sua univoca attribuzione a Teodorico.

19.12.2021

[1] Naturalis Historia, IV, 14, 99

[2] A.A.V.V., L’epopea dei Goti, <> n. 44 (1994),pp. 50-62

[3] << ma, risalendo addietro nel tempo, diviene sempre più difficile poter assegnare i nomi trasmessi dalle fonti tardo-antiche con precisione alla gens degli Ostrogoti, i quali si sono formati relativamente tardi come compagine migrante, sviluppandosi dall’evoluzione e trasformazione dei Greutungi incrociati con frange di Tervingi, tradizionalmente considerati invece antecessori dei visigoti. Non di meno, preferendo peccare per inclusione che per carenza, si è teso a comprendere qui anche certi antichi nomi, insicuri quanto all’attribuzione agli Ostrogoti in senso stretto per mancata esplicitazione da parte delle fonti, ma che apparivano per ragioni storiche e linguistico-onomastiche di plausibile e verosimile assegnazione al gruppo ostrogoto.>> – Nicoletta Francovich Onesti, I nomi degli Ostrogoti, Firenze University Press, 2007

[4] Duchoud, Gabrielle: “Ostrogoti”, in: Dizionario storico della Svizzera (DSS)

[5] Peter Heather, The Restoration of Rome: Barbarian Popes & Imperial Pretenders, Oxford, Oxford University Press, 2013

[6] Marco di Filadelfia, frammento 10

[7] Di particolare importanza per la trattazione dell’argomento è l’articolo di Marco Aimone, Romani e Ostrogoti fra integrazione e separazione. Il contributo dell’archeologia a un dibattito storiografico, << Reti Medievali Rivista >>, 13, 1 (2012), http://rivista.retimedievali.it

[8] Peter Heather, The Goths, 1998ncit., pp. 216-258, citato anche da M. Aimone in Romani e Ostrogoti fra integrazione e separazione. Il contributo dell’archeologia a un dibattito storiografico, << Reti Medievali Rivista >>

[9] Sulla datazione dell’Editto di Teodorico si veda Federico Panetta, Sull’anno della pubblicazione dell’Editto di Teodorico, << Atti della Accademia delle scienze di Torino>>, vol.28, 1892-93

[10] Anon. Val., pars post. , c. 66

[11] Massimiliano Vitello, Teoderico a Roma. Politica, amministrazione e propaganda nell’”adventus” dell’anno 500, << Zeitschrift für Alte Geschichte>>, Bd. 53, H. 1 (2004), pag.107

[12] Per una critica legale si veda Ugo Trombetti, L’Editto di Teodorico, Fratelli Drucker,1895

[13] Per la traduzione dal latino si veda Ugo Trombetti, 1895

[14] P.Rasi, Sulla paternità del cosiddetto Edictum Theoderici regis,  «AG.», 145, 1953, p. 105

[15] G. Vismara, Edictum Thederici, <>, p. I, 2 b aa  , Milano,1967

[16] Marcella Raiola in merito al silenzio delle fonti scrive:  << i secondi, invece, additano proprio nel silenzio di Giustiniano circa l’Editto, peraltro contenente norme contrastanti con alcune prescrizioni del Digesto e del Codex Iustinianus, la prova inconfutabile dell’inesistenza  di una compilazione nota e accreditata, varata da Teoderico consapevolmente e solennemente. La  mancata menzione dell’Editto nella Pragmatica Sanctio è stata dunque funzionalmente adattata, dai diversi  studiosi, alle ipotesi più o meno caute e più o meno discutibili che nel tempo sono state formulate  circa la paternità, la cronologia e gli ambiti di diffusione dell’Editto.

A dire il vero, il silenzio di Giustianiano arriva ultimo, per così dire, dal momento che dell’Editto nessuna fonte coeva o successiva parla.>>in La «questione teodericiana»: un’ipotesi ricostruttivo-costitutiva dell’ «Edictum» , <> – XI – 2011